Scandalo Vaticano: spariti 454 milioni dall’obolo di San Pietro

6 Giu 2020 15:19 - di Davide Ventola
scandalo vaticano

Lo scandalo Vaticano si allarga a macchia d’olio e spunta anche una ipotesi inquietante. Quella di un’estorsione da 15 milioni alla Santa Sede. È la pista che emerge dall’inchiesta di Oltretevere che ha portato all’arresto di Gianluigi Torzi nell’ambito delle indagini sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Santa Sede.

Scandalo Vaticano: chi è il broker Gianluigi Torzi

Torzi, broker molisano, stando alle ricostruzioni dell’accusa sarebbe entrato in contatto con la Segreteria di Stato per aiutarla a risolvere l’impasse della partecipazione al fondo Athena di Raffaele Mincione. Una partecipazione finanziata con i soldi dell’Obolo di San Pietro – destinati ai poveri – e costata alle casse vaticane svariati milioni di euro. Il banker ora agli arresti, però, stando alle accuse, si sarebbe ben presto trasformato nell’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato. Addirittura è arrivato a portare a compimento una estorsione di 15 milioni.

Un’estorsione da 15 milioni euro

Torzi avrebbe prima truffato e poi ricattato gli alti funzionari vaticani. In particolare, Torzi, con la sua Gutt Sa aveva triangolato per la Santa Sede l’acquisto da Mincione dell’immobile di Londra al centro dell’inchiesta. Avrebbe quindi trattenuto, senza farlo sapere alla Segreteria di Stato mille azioni (le uniche con diritto di voto) della società. Con ciò impedendo di fatto al Vaticano (cui aveva ceduto 30mila azioni ma senza diritto di voto) di disporre del palazzo.

Nello scandalo vaticano coinvolti alcuni alti prelati

Gli inquirenti avrebbero scoperto che nel corso di una riunione per convincere l’imprenditore a cedere le sue azioni e alla quale parteciparono anche monsignor Edgar Pena Parra, Sostituto della segreteria di Stato Vaticana, Giuseppe Maria Milanese, che avrebbe agito nell’interesse della Segreteria, l’avvocato dello studio Ernst & Young Manuele Intendente e Renato Giovannini, rettore vicario Università Guglielmo Marconi, Torzi si sarebbe detto disponibile a rinunciare, previo risarcimento delle spese e con un piccolo margine guadagno, somma che in un successivo incontro venne quantificata in 3 milioni di euro. Tuttavia, nonostante l’accordo verbale, nell’ipotesi investigativa Torzi non avrebbe restituito le azioni residue della Gutt Sa. Anzi, la sua strategia “al rialzo” sarebbe diventata una estorsione.

Un thriller degno di Dan Brown

E, ancora, che Enrico Crasso, gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Sogenel Capital Holding, e Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, qualche giorno prima in un incontro a Milano gli avessero offerto 9 milioni di euro per cedere le azioni. Una cifra consistente, ritenuta però insufficiente da Torzi che, secondo quanto riferito agli investigatori da più testimoni, sarebbe arrivato a ipotizzare la somma di 24 milioni e perfino di 30 milioni per restituire l’immobile di Londra alla Santa Sede, in un’escalation che a quanto apprende l’Adnkronos avrebbe spinto Giovannini, interrogato dagli inquirenti vaticani, a non poter negare che le richieste dell’imprenditore molisano avessero i toni di una ”estorsione”.

Trattavano sul fondo discrezionale del Papa

Nel corso di un incontro con il Sostituto della Segreteria Vaticana, Tirabassi e monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria, avrebbero addirittura proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione con Torzi dal cosiddetto Fondo discrezionale. Un fondo creato nel 2015 per le spese discrezionali del Papa. Operazione finìta nel nulla anche grazie alla mediazione di monsignor Mauro Carlino. Quest’ultimo avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si sarebbe consumata l’estorsione. Ma lo scandalo Vaticano pare solo ai capitoli iniziali. 

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