Il “modello Genova”, poche regole (e chiare) per sbloccare le grandi opere. I Cinquestelle imparino
Il decreto “Semplificazioni” continua a complicare i rapporti tra i partiti di governo. I soliti annunci del Presidente del Consiglio non sono stati infatti sufficienti a bloccare il tira e molla tra Pd, Movimento 5 Stelle e Italia Viva. Al centro della querelle la sanatoria per le opere abusive, la responsabilità per danno erariale e il reato di abuso d’ufficio, fattori, quest’ultimi, che paralizzano l’operatività del comparto pubblico, i cui funzionari sono letteralmente spaventati dal rischio di inchieste della magistratura e richieste di danni della Corte dei Conti. E poi c’è la “liberazione degli affidamenti”, con cui il Pd vede il tentativo di imporre il “Modello Genova”.
Per alcuni il “Modello Genova” è una bandiera da sventolare come esempio concreto di efficienza ed affidabilità, per altri (a sinistra) uno strumento troppo dinamico d’intervento, che porterebbe a “commissariare” il sistema degli appalti per le grandi opere. Ma di che cosa si tratta esattamente?
Il “Modello Genova” non è intanto uno slogan. Non lo è soprattutto per il Sindaco del capoluogo ligure, Marco Bucci, che questo “modello” ha realizzato sul campo, nell’opera, non facile, di ricostruzione del viadotto crollato il 14 agosto 2018. Arrivare, in due anni, a ridare a Genova e alla Liguria uno snodo strategico essenziale, qual era il Ponte Morandi, è un’eccezione in un Paese dove le grandi opere hanno tempi biblici di costruzione. Proprio per questo la gestione commissariale del Sindaco di Genova ha fatto scuola, riuscendo a coniugare velocità di esecuzione ed alta qualità d’intervento ed impedendo, nel contempo, comportamenti illeciti o infiltrazioni da parte della malavita organizzata.
Su questo punto Bucci è irremovibile: «Il Modello Genova non è assenza di regole ma semmai il contrario». Ed ancora: “Abbiamo buttato fuori le aziende sospette di infiltrazioni e lo abbiamo fatto tempestivamente grazie proprio ad una organizzazione ancora più stringente del Codice degli Appalti e grazie alla sinergia con l’ex procuratore capo di Genova Michele Di Lecce.
Tre i punti essenziali della strategia di Bucci.
Sul versante amministrativo un punto essenziale è stata l’applicazione dell’art. 32 del Codice degli appalti europei, applicazione resa possibile in quanto Bucci si è mosso in qualità di commissario. L’articolo in oggetto permette, per comprovate esigenze di urgenza, di lavorare direttamente con le imprese saltando la gara ed operando solo sulla base delle manifestazioni d’interesse. Il risultato ? Venticinque progetti presentati e selezionati in tre settimane.
Secondo punto l’utilizzo delle tecniche di project management, praticate dal settore privato, ma escluse dalla Pubblica Amministrazione, grazie alle quali è stato possibile fare partire tutti i progetti insieme, demolizione e costruzione, selezione e approvazione.
Ultima mossa la libertà di scelta delle persone impegnate nella costruzione del nuovo ponte, selezionate in base a capacità, merito e risultati. Senza gare poi non c’è spazio per i cavilli burocratici che spesso riescono, ricorso dopo ricorso, a bloccare l’operatività per anni, allungando i tempi di realizzazione.
Al contrario, quando ci si muove sulla base della meritocrazia, dell’efficienza produttiva ed in vista del risultato finale, a vincere non sono i lacci e laccioli della burocrazia, ma la volontà di raggiungere, presto e bene, la meta. A Genova il risultato si è visto. E a vincere non è stata solo la rapida realizzazione di un’opera cruciale, ma un’idea di efficienza che ci riporta al concetto di “stato d’eccezione”, costituzionalmente evocato per le grandi crisi. La necessità – notava Santi Romano – è la fonte originaria della legge. Almeno per le grandi opere, fattore strategico per la ripresa dell’intera economia nazionale, è tempo di tirare le dovute conseguenze. Il “Modello Genova” insegna. Preso atto dello “stato d’eccezione”, a questo punto occorrono uomini e volontà in grado di capirlo ed applicarlo.