Lo ammette anche “Repubblica”: l’udienza che condannò Berlusconi fu irregolare
La sorprese, come gli esami di Eduardo De Filippo, «non finiscono mai». Soprattutto se di mezzo c’è Berlusconi. Già, nessuno avrebbe mai immaginato che il relatore della sentenza che lo aveva definitivamente condannato a quattro anni, l’avrebbe poi disconosciuta davanti al Cavaliere in un colloquio registrato da uno dei presenti. Men che meno che quello stesso giudice, Franco, aveva a sua volta tentato di registrare la seduta della Camera di consiglio che di lì a poco avrebbe emesse il verdetto. E che una volta scoperto, a nessuno dei colleghi del collegio giudicante presieduto da Esposito sia venuto in mente di denunciare l’accaduto. A rivelarlo, uno scoop di Repubblica. Il contenuto di quell’articolo è ora sul tavolo del procuratore capitolino Michele Prestipino che verosimilmente avvierà degli approfondimenti. Di più, del resto, non può fare.
Approfondimenti in Procura dopo lo scoop del quotidiano
Franco è morto e presunte condotte omissive da parte degli altri giudici sono prescritte anche per un’eventuale azione disciplinare. Resta invece intatta la sostanza politica della vicenda. A condannare Berlusconi è stato un collegio feriale della Cassazione, il cui relatore ha tentato di registrare il confronto in Camera di consiglio. Ma che nessuno ha denunciato benché scoperto. Probabilmente per non essere costretti a rallentare il processo con la modifica della composizione del collegio. In compenso, noi non sapremo mai se per impedire la prescrizione di Berlusconi quei giudici abbiano compiuto un illecito. Di sicuro c’è che quella seduta, così come si è svolta (nel silenzio dei protagonisti, Repubblica cita come fonti indirette “Toga 1” e “Toga 2“) non ha il crisma della regolarità.
Più forte il sospetto che a condannare Berlusconi fu una sentenza politica
A maggior ragione ove si pensi che successivamente Franco ha sentito il bisogno di “confessare” direttamente al condannato le proprie perplessità. Insomma, ce n’è abbastanza per dubitare del merito di quel verdetto. E per alimentare il sospetto che si sia trattato di un verdetto politico finalizzato ad espellere Berlusconi dal Parlamento. Un motivo in più perché sia la politica a pretendere quella chiarezza che la giustizia non può più fare. Capire che cosa sia accaduto nell’ultimo quarto di secolo è esigenza non più differibile.Una commissione d’inchiesta sull’uso politico della giustizia – anche alla luce del caso Palamara – sarebbe solo il minimo sindacale.