‘Ndrangheta a caccia di fondi anti-Covid: 8 arresti per una frode sull’acciaio
L’indagine della Finanza su una frode all’Iva nel settore del commercio di acciaio ha fatto scoprire i tentativi della ‘ndrangheta di ottenere i fondi anti-Covid destinati alle imprese.
La scoperta è stata fatta dai dal nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano. Che ha portato alla luce il reticolo di società intestate ad alcuni prestanome. E riconducibili alla ‘Ndrangheta.
Otto le persone arrestate – 4 ai domiciliari e 4 in carcere – che si sono viste contestare una lunga sfilza di reati.
Dall’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale aggravata dal metodo mafiodo alla disponibilità di armi, auto-riciclaggio, intestazione fittizia di beni e valori, bancarotta fraudolenta.
Tutto è partito da un’inchiesta della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, contro la ‘ndrangheta.
E lì è subito emerso che il “principale indagato” ha presentato richiesta e ottenuto, per tre delle società “inserite nello schema di frode“, i contributi a fondo perduto previsti per l’emergenza Covid.
Gli investigatori hanno sequestrato complessivamente beni e disponibilità finanziarie fino a 7,5 mln di euro.
Il procuratore Francesco Greco ha rivelato che alcune delle persone su cui si sono concentrate le indagini della Dia risultano contigue al “clan della ‘ndrangheta Greco di San Mauro Marchesato“.
“Una ‘ndrina distaccata del locale di ‘ndrangheta di Cutro (Crotone), operante anche sul territorio lombardo”.
Dalle indagini, è emersa anche, ha spiegato il magistrato, “l’esistenza di diverse imprese, italiane ed estere, apparentemente prive di reciproci legami societari, utilizzate per il compimento di una imponente frode Iva”.
Fra i metodi utilizzati per la frode, l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e la costituzione fittizia del plafond Iva previsto per i cosiddetti ‘esportatori abituali‘. Un trucco realizzato manipolando “artificiosamente le liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto“.
Dalle indagini è emersa “l’esistenza – ha detto il procuratore – di diverse imprese, tutte di fatto gestite, tramite prestanomi, da soggetti che alcuni collaboratori di giustizia (oltre a sentenze definitive) hanno indicato quali affiliati alla ‘ndrangheta”.
In particolare si tratta del clan di San Mauro Marchesato. Che fa capo a Lino Greco, cosca federata al noto locale di Cutro facente capo a Grande Aracri.
Di qui l’autoriciclaggio di proventi illeciti accumulati per oltre mezzo milione di euro attraverso conti correnti in Bulgaria e Inghilterra.
Al riciclaggio ha collaborato anche un cinese – poi arrestato – residente in Toscana, a sua volta interessato a riciclare importanti somme di denaro ‘in contante’ e mandarle in Cina.
Secondo l’accusa, è stato bonificato circa mezzo milione di euro, dai conti correnti di alcune società verso istituti di credito in Cina.
Il principale indagato, “indicato dai collaboratori come inserito nella cosca di ‘ndrangheta” ha presentato richiesta “ed ottenuto per tre società inserite nello schema di frode, i contributi a fondo perduto.
Lo ha fatto attestando un volume di affari non veritiero sulle false fatture, relativamente all’anno precedente. E, inoltre, ha tentato di beneficiare anche dei finanziamenti previsti per le aziende a sostegno dell’emergenza Covid.