Fidanzati massacrati a Lecce: il piano omicida, il movente, le sevizie e il racconto di un testimone
Ha inseguito le sue vittime per tutta la casa. Senza mai fermarsi. Le ha raggiunte sulle scale e ha messo in atto con spietata freddezza e sadica brutalità il suo piano omicida. Neppure le urla e le suppliche dei poveri Daniele De Santis ed Eleonora Manta lo hanno fatto esitare. Neanche per un istante. Il killer ha portato avanti fino all’ultimo minuto la sua azione meticolosamente programmata. «La ricostruzione del duplice delitto, avvenuto lunedì scorso a Lecce – spiegano gli inquirenti – ci dice che c’è stata una fortissima premeditazione. E questo è rinvenibile sia dall’attività di ispezione che il soggetto ha fatto nei giorni precedenti. Sia dall’esame e dall’interpretazione del bigliettino, trovato per terra vicino all’appartamento di via Montello».Un piano terribile. Che ha stroncato nel più efferato dei modi le due giovani vite della coppia di fidanzati trentenni.
Fidanzati massacrati a Lecce: «Un omicidio compiuto senza nessuna pietà verso il prossimo»
Nella ricostruzione del macabro duplice delitto, il decreto di fermo parla chiaro. Un omicidio «compiuto con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di compassione e pietà verso il prossimo», è la descrizione del pubblico ministero Maria Consolata Moschettini nel provvedimento. Il 21enne ha continuato a colpire le vittime «nonostante le ripetute invocazioni a fermarsi urlate» dai due. Li ha inseguiti per casa, spiega il sostituto procuratore del Tribunale di Lecce, «raggiungendole all’esterno senza mai fermarsi». Infierendo con furia sulle due vittime. Su quel ragazzo con cui, fino a due settimane prima, l’assassino aveva convissuto per quasi un anno (fino ad agosto). Soggiornando in affitto in una stanza dell’appartamento divenuto la terrificante scena del crimine.
Fidanzati massacrati a Lecce, dalla premeditazione al movente, una spietatezza indicibile
Ma tutto, dalla premeditazione al movente, fino ovviamente all’azione omicidiaria, parla di una crudeltà indicibile. «Ha cominciato a meditare il delitto da quando ha lasciato l’immobile. Parliamo della fine di agosto a dieci giorni prima. La pianificazione, lo studio per poter sfuggire alle telecamere dall’abitazione attuale di via Fleming, un percorso che l’assassino ha fatto più volte», spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Lecce Paolo Dembech rispondendo alle domande dei giornalisti davanti alla caserma di via Lupiae dopo il fermo di Antonio De Marco. Poi aggiunge: «La mappatura delle telecamere è corrispondente al vero e l’errore che può aver commesso è che lui ha cercato di evitarle ritenendo che non “vedessero” il marciapiede opposto. Uno spettro d’azione che invece ha raggiunto il marciapiede opposto riuscendo a immortalarlo», ha spiegato.
Fidanzati massacrati a Lecce: il racconto di un testimone
E se ancora non bastasse, anche un testimone ricostruire il racconto dell’orrore, rivelando: «Ho pensato: è una lite seria, perché si stanno facendo male… non… che io, all’inizio pensavo fosse un terremoto visto che c’erano un sacco di rumori, di tonfi, di mobili che cadevano. Sentivo mobili che cadevano e pensavo: che cosa può essere? Una sedia cade, ma non cade un tavolo. Non cade una credenza. Quindi che cos’era? L’assassino scaraventava le vittime per terra? Non lo so. Comunque tonfi e urla, ma immediate, non… crescenti, dovute ad una discussione, a una lite (…)», racconta una delle testimoni ascoltate dai carabinieri a un’amica al telefono.
Fermato, l’assassino ha detto solo: «Ma da quanto mi stavate pedinando?»
«Verosimilmente qualcosa gli ha dato fastidio, ascrivibile a un senso di invidia a una gelosia per la felicità, la solarità, la gioia di vivere di questi giovani che non riconosceva in se stesso, nelle poche amicizie che aveva, aggiunge il comandante dei cc. Antonio De Marco è entrato nell’appartamento dove vivevano Daniele e Eleonora con le sue chiavi. «Essendo stato coinquilino di quell’appartamento aveva custodito una copia della chiavi», ha spiegato ancora Dembech. Non solo. «Arrestato ieri alle 22 mentre usciva dall’ospedale», De Marco è rimasto impassibile. «Ha avuto una reazione che non ha tradito agitazione. Non si è messo a ridere. Ha detto semplicemente “ma da quanto mi stavate pedinando?”». Poi, sull’arma del delitto, «disconoscendo le notizie sui giornali, il killer ha detto che non ha usato un pugnale da sub, ma un pugnale da caccia. Acquistato pochi giorni prima, e di cui è stato ritrovato il fodero ma non l’arma. Il killer, infatti si è disfatto del coltello buttandolo nei rifiuti che poi sono stati raccolti».
Il duplice delitto doveva essere «una rappresentazione per la comunità cittadina»
Infine, l’ultimo tassello dell’orrore arriva con l’agghiacciante ammissione: «Non si spiega se non nella direzione di inquadrare l’azione in un contesto di macabra ritualità la presenza di oggetti non necessari per provocare la morte della giovane coppia. A tal riguardo, giova altresì evidenziare come sul copricapo sia stata disegnata con un pennarello nero una bocca. Quando ciò – sottolinea ancora il pm al lavoro sul caso – non risultava necessario nell’economia e consumazione del reato». Non solo. Da quanto scrive anche l’Ansa in queste ore, «De Marco voleva immobilizzare , torturare e uccidere la coppia. Per poi ripulire tutto con detergenti e lasciare una scritta sul muro con un messaggio per la città». L’omicidio, infatti, ricostruiscono gli inquirenti, doveva essere «una rappresentazione per la comunità cittadina». Un’esecuzione quasi teatrale testimoniata, come spiegato dal magistrato, dal rinvenimento nell’appartamento della coppia di fascette stringi-tubo che sarebbero dovute servire per immobilizzare le vittime. Poi massacrate a coltellate con incredibile ferocia.