Pamela, Oseghale in aula per il processo d’appello insiste a discolparsi: l’ho fatta a pezzi, ma non l’ho uccisa
Pamela, Oseghale in aula ad Ancona per il processo d’appello, insiste a discolparsi e a dichiararsi innocente. «L’ho fatta a pezzi, ma non l’ho uccisa». Come se tra le due cose ci fosse una qualche differenza. E l’assassino condannato in primo grado torna a ripetere stancamente: «Voglio pagare per quello che ho fatto, ma non l’ho uccisa». Un mantra, quello che Innocent Oseghale continua a ripetere ossessivamente ai suoi legali: gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi. Si professa innocente. Responsabile solo del vilipendio e del deturpamento di cadavere. Ma, insiste l’imputato e sostiene la sua difesa, la morte di Pamela Mastropietro sarebbe stata causata da una overdose, dalla quale è poi iniziato il calvario.
Pamela, Oseghale in aula per il processo d’appello
La famiglia della vittima si augura: «Niente sconti»
«Mi aspetto la conferma della sentenza – ha detto all’Adnkronos Marco Valerio Verni, legale della famiglia della vittima e zio di Pamela – qui sono nelle vesti di avvocato e non di parente. Ma è chiaro che tornare in aula è sempre gettare sale sulla ferita. Cosa ci auguriamo? Niente sconti». E ancora. «Oseghale ha annunciato dichiarazioni spontanee, ma saranno le stesse di sempre. Per noi può anche risparmiarle. Sono l’ennesima presa in giro – ha continuato l’avvocato –. Per carità, l’imputato ha diritto di dire quello che vuole, ma c’è un limite all’intelligenza e alla dignità umane. Viceversa, se vorrà fornire dettagli su chi era con lui eventualmente quel giorno, saremo interessati. Il dubbio che non abbia potuto fare tutto da solo in noi resta».
Respinta la richiesta della difesa di mostrare le immagini delle lesioni
Intanto è stata respinta dalla Corte la richiesta della difesa di Oseghale di mostrare le immagini delle lesioni sul corpo della vittima per evidenziare la loro versione dei fatti, diversa dalla mortalità delle coltellate inferte. “Il materiale è ampiamente sufficiente – ha replicato il presidente Giovanni Trerè non accogliendo la richiesta di far presenziare un consulente. Un rifiuto che tiene in conto l’esigenza primaria di tutelare la vittima, specialmente perché il processo è pubblico». Riti processuali che si svolti mentre la mamma di Pamela piangeva, Ininterrottamente. «La riproduzione delle immagini – ha aggiunto la Corte – sarà fatta solo se strettamente necessaria».
La mamma di Pamela si abbandona a un pianto ininterrotto
Quindi per oggi l’udienza si chiusa con la sola relazione del giudice Maria Cristina Salvia. La discussione è rimandata al prossimo mese. Così come le dichiarazioni spontanee dell’imputato. Maglietta bianca e mascherina verde, Oseghale non ha mai incrociato lo sguardo fisso su di lui della madre della vittima. Una donna impietrita, indifesa mentre il giudice ripeteva la puntuale ricostruzione dei fatti. Dall’allontanamento della 18enne dalla comunità di recupero di Macerata, fino alla sua morte. E al successivo ritrovamento dei resti nei due trolley. Tappe drammatiche, ripercorse in aula mentre la mamma di Pamela era ormai abbandonata al pianto. Lacrime contenute solo in parte dalla mascherina...