“Scilla” tra mito e poesia: tutta la suggestione della classicità nel romanzo di Kessel Pace
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Per nostra fortuna – di noi autori calabresi, intendo – quel patriarca della cultura italiana che è Walter Pedullà, uno dei più grandi, insieme col suo maestro Debenedetti, critici letterari del Novecento, nei suoi numerosi scritti dedicati, nel corso di sessant’anni, alla narrativa meridionale (raccolti non molti anni fa nel volume “Il mondo visto da sotto”), oltre che collocare nel giusto contesto e dar loro il rilievo che meritano, scrittori di durevole tenuta, da Alvaro a Strati a La Cava, ha concesso “l’onore delle armi” anche a tutta una serie di “fratelli” – cronologicamente – “minori”, ma non per ciò poco rilevanti, definendo così un panorama della vita culturale di questa estrema regione (tutta… “ulteriore”, rispetto al resto del paese) meno povero di quanto si sarebbe portati a pensare. Specie se rapportato alla ricchezza della vicina Sicilia che, come lo stesso Pedullà precisa, vanta, nel secolo più lungo e tormentato della storia, almeno dieci scrittori di alto rango, cioè più di qualsiasi altra parte d’Italia.
E si ha il sospetto che accanto a quelli censiti dall’eminente critico, ve ne siano altrettanti – da aggiungere al lungo elenco dei “rimasti” nella regione – che, per i più diversi motivi – primo fra tutti la debolezza strutturale dell’editoria calabrese – non hanno lo spazio che meritano e sono costretti spesso all’autoproduzione e all’autogestione. Non sono due termini presi a caso, ma è quanto trovo riportato nel colophon del bel volumetto “Scilla” di Oreste Kessel Pace, appena uscito appunto nella “Collana di opere autoprodotte e autogestite” dallo stesso autore.
Un patrimonio di poesia
Kessel Pace è un giovane scrittore di Palmi (la terra di Leonida Repaci, grande organizzatore culturale prima che potente romanziere, anzi “imprevedibile”, come lo definisce sempre Pedullà, ma solo “quando è un visionario”) e ha già al suo attivo una vasta produzione saggistica e narrativa. Spesso intrecciata. Come nel caso del volume dedicato a San Rocco, una fedele ricostruzione della vita del Santo protettore dalle pestilenze e epidemie varie di ogni genere (fra cui perciò, teniamolo ben presente…, prima l’Aids e ora il Covid 19!), raccontata con il piglio del narratore. E come anche in quest’ultimo, in cui il mito della bella fanciulla, trasformata dalla perfida maga Circe in un orrido mostro marino, e del suo amato Glauco, viene ripercorso attraverso la vicenda “reale” del giovane Eustazio.
Dante Maffia, il noto poeta e scrittore, calabrese anch’egli, autore, fra l’altro, del “Romanzo di Tommaso Campanella”, nell’intensa prefazione sottolinea la “suggestione che si sente scorrere fra le righe … quella dell’incanto provato da Kessel che viene spinto a far vivere la mostruosità di Scilla come patrimonio di poesia”.
Maffia mette anche in evidenza, e non si può non concordare con lui, “il modo di esprimersi di Kessel che non arzigogola, e riesce a coinvolgere il lettore suscitando la sua curiosità, ma soprattutto accompagnandolo all’interno di atmosfere in cui la magia disegna scenari meravigliosi … esempi di bellezza imperitura … modelli che conservano le grandi, perenni verità del vivere”.
Le suggestioni della classicità
Aggiungerei che tutto ciò è ottenuto con una scrittura elegante, imbevuta di classicità – Kessel si è dedicato molto allo studio delle antiche civiltà – ma non “arcaica”, estremamente moderna invece, nella “nitidezza di un vocabolario” – sono sempre parole di Maffia – che rende con efficacia la storia di un naufragio, di una salvazione prodigiosa e di un rapporto di amore, nel senso più alto, che supera ogni barriera. E la straordinaria Zanclea, che “adotta” in qualche modo il ragazzo portato in salvo dal dio marino, da lei poi amorevolmente curato, appartiene a quella stessa genia di “grandi madri”, come l’Acitana dell’Horcynus darrighiano o la madre-maga di Conversazione in Sicilia di Vittorini: “troppe” – insinua Pedullà – “perché non venga in mente che molti meridionali non hanno mai spezzato il cordone ombelicale. Non amano staccarsi.”
Sì, come non amano staccarsi dalla loro terra, e questo forse non è un parallelismo casuale. (Oreste Kessel Pace, Scilla – Romanzo mitologico
Prefazione di Dante Maffia OKP Edizioni, Palmi Pagg. 148, Euro 10,00