Zangrillo racconta i giorni difficili di Berlusconi: «Era provato e spaventato, capiva tutto»
Il professor Alberto Zangrillo, intervistato dal Corriere della Sera, parla della differenza tra l’ultimo ricovero di Silvio Berlusconi per Covid e quelli precedenti. «Io li ho conosciuti tutti quelli degli ultimi 20 anni. Credo», dice, «ci sia stata una cosa che richiama una delle caratteristiche veramente negative del Covid-19. Ti obbliga alla solitudine e ad affrontare la malattia da solo. Berlusconi era emozionato. Era provato. L’hanno visto tutti. E in questi giorni, forse, è stato anche un po’ spaventato, perché l’evoluzione della malattia non lascia scampo se si perde del tempo».
Zangrillo: Berlusconi è un uomo razionale
«Lui questa volta», spiega Zangrillo parlando di Berlusconi, «credo abbia avuto voglia di dirmi che stava vivendo qualcosa che lo preoccupava veramente. È un uomo molto razionale per cui, se c’è una terapia che è una terapia esatta per la cura della patologia, è il primo a capirlo. Ma l’evoluzione di una malattia infettiva può, soprattutto quando non c’è una terapia specifica, sfuggire di mano e presentare un quadro clinico molto negativo. Questo tipo di percezione lui l’ha avvertita». Aveva la preoccupazione che la situazione potesse sfuggire dl mano, insieme alla consapevolezza di essere in buone mani? Zangrillo risponde: «Tutto ciò è molto umano. Lo lego alle sfaccettature che questa malattia ci ha presentato. Anche chi ha mantenuto un comportamento razionale e anche chi ha mantenuto un comportamento molto freddo può avere avuto dei momenti in cui si è sentito solo. E non sapeva con chi sfogarsi».
Il pericolo era nell’evoluzione dei quadri clinici
«Io», osserva, «ho sempre dolorosamente in mente l’evoluzione dei quadri clinici di marzo e aprile. Il mio timore è che si potesse avere un’evoluzione di questo tipo. Un individuo di quasi 84 anni con una carica virale elevatissima: quello che ti aspetti è un quadro clinico che può evolvere in modo negativo. Non è stato così perché c’è stata una corretta risposta immunitaria. Il pericolo, come ci dimostra il caso di Berlusconi», sottolinea, «esiste ancora e la situazione avrebbe potuto sfuggire di mano».
«Il virus vince sul tampone»
Zangrillo torna poi a parlare di quanto da lui detto il 31 maggio, ovvero che il virus era clinicamente morto. «Tanti “amici”», riferisce, «mi incolpano di essere uno dei responsabili di questo “mollare gli ormeggi”. Io ho le spalle larghe e accetto le accuse. Però devo avere la possibilità di spiegare. Nessuno si può permettere lontanamente di pensare che usi leggerezza e imprudenza chi come me, e come tanti miei colleghi, ha vissuto il dramma della prima, e speriamo unica, ondata. Io sono il primo a dire che il virus c’è. II virus esiste e ci ha dimostrato di essere molto contagioso. Il virus ci sta prendendo in giro. Perché il virus vince sul tampone».
Zangrillo, Berlusconi e l’acronimo Post
L’attenzione deve restare alta. «Non ho mai negato questo», incalza Zangrillo. «L’attenzione deve restare altissima. Ma non dobbiamo confondere l’attenzione con l’isteria. Noi dobbiamo spiegare agli italiani: “Alla fine è peggiore il danno che produco bloccando tutto o è peggiore il problema che posso produrre con qualche contagio in più?”. Non abbiamo ancora capito quando ciò finirà. Quello che però tutti devono sapere è che finirà prima se tutti siamo bravi. È il motivo per cui abbiamo creato l’acronimo che si chiama Post. La “P” sta per prudenza, la “O” per osservazione, la “S” per sorveglianza, la ‘T’ per tempestività. È una sorta di decalogo che tutti noi dobbiamo osservare. Se lo facciamo viviamo tutti più tranquilli».