Campidoglio, Calenda cerca il Pd. Ma 2 mesi fa lo insultava: «A Roma macchiato da Mafia Capitale»
Incurante del monito lanciato dall’ex-reggente dem Maurizio Martina («le elezioni non si vincono a colpi di tweet»), Carlo Calenda comincia a “cinguettare” di buon mattino. Si capisce: la scelta del candidato per Roma è un rompicapo e lui non vuol farsi cogliere di sorpresa. Per questo, ha già commissionato un paio di sondaggi, che gli arriveranno al massimo fra un paio di giorni. Nel frattempo, si gode quello di Repubblica.it, che lo dà irraggiungibile rispetto ai cosiddetti sette nani, figure di partito prive dello smalto necessario per aspirare a guidare la Capitale. Ancora poco, tuttavia, per tentare la corsa solitaria.
Calenda: «Qui le primarie non servono»
Per questo il suo tweet mattutino («Non ho ragione di temere le primarie. Ma su Roma sono sbagliate, a prescindere da chi sarà il candidato») ha tutta l’aria di un messaggio in codice al Pd. Il sogno di Calenda è quello di costringere il suo ex-partito a rincorrerlo. Ne godrebbe così l’appoggio senza esservi costretto a negoziare, con il rischio di veder sfumare la propria carica anti-grillina. Senza tralasciare che così passerebbero in cavalleria anche alcuni giudizi tranchant sui suoi compagni di un tempo. Non proprio carezze, come ben testimonia quello affidato a Repubblica il 12 agosto scorso. Eccolo: «Il Pd romano è il peggio del partito nazionale. Dirigenti mediocri che si accoltellano tra loro. Una classe dirigente macchiata da Mafia Capitale, che non è stata più di alto livello dopo gli anni d’oro di Rutelli e Veltroni». Al netto del riferimento ai due ex-sindaci, un esponente di destra non avrebbe potuto dire di peggio.
In rivolta i dem capitolini: «Carlo espressione dei poteri forti»
Nel Pd, ovviamente, non tutti hanno dimenticato e non pochi sono pronti al fuoco di sbarramento se qualcuno decidesse di incoronare Calenda senza le primarie. Tanto più che l’estrazione pariolina, fa dell’ex-ministro un bersaglio fin troppo facile. Basta leggere, per rendersene conto, i post di due dirigenti capitolini come Andrea Catarci, ex presidente del Municipio VIII, e dell’ex-segretario Marco Miccoli, secondo cui a tirare la volata a calendo sarebbero il Messaggero e Repubblica. «Il tentativo dei poteri economici romani, attraverso le loro testate, di imporre candidati al Pd – scrivono su Fb – va avanti da decenni».