«Quando scrivo mi guidano lampi d’imbecillità»: il geniale umorismo di Achille Campanile

16 Ott 2020 11:52 - di Massimo Pedroni
umorismo

L’umorismo, ha vissuto sempre alterne vicende. A cominciare dalla contezza sulla sua etimologia. Dal latino umor, liquido. Sulla base dei liquidi, quindi degli umori, presenti nell’essere umano, Ippocrate fondò le teorie della sua scuola di ars medica.  Nella coscienza popolare, l’umorismo, è stato sempre un sentimento vivo. Ribadito, e tonificato dal gusto per le battute salaci,  perentorie nel loro contenuto di verità. La considerazione per esso, ha sempre vivacchiato, invece, nella considerazione dei cattedratici della “letteratura costituita”. Lo percepivano, seguendo analisi frettolose e superficiali  come genere di basso livello, senza la minima patente di nobiltà. Insomma un parente povero, pecora nera di una rispettabile famiglia. Contro di esso, agli occhi di alcuni “cattedratici del Verbo” milita  anche il fatto di avere  il dono della semplicità e dell’immediatezza.

L’umorismo e la ricchezza di spunti

Il sale, con il quale la gente comune cerca di insaporire i bocconi amari di tutti i giorni.  Per quanto, guardato nei “salotti buoni” con aria di benevola sufficienza, si sono interessati all’argomento personalità dalla fama indiscussa. Premi Nobel compresi. Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, si apriva infatti con la pubblicazione di “Il riso.  Saggio sul significato del comico” del filosofo francese Henry Bergson. Riflessione, ulteriore sul tema,  verrà sviluppata da Sigmund Freud nel saggio del 1905 “Il motto di spirito e la relazione con l’inconscio”. Per arrivare infine  a “L’Umorismo” saggio di Luigi Pirandello del 1908. L’interesse, suscitato. su questi temi, in autorità culturali  dall’indiscutibile spessore, quale quelle citate, ci rende manifesta la potenzialità di ricchezza di spunti di analisi e riflessione che si determinano muovendosi in quell’ambito.

I primi passi di Achille Campanile

L’ironia, l’autoironia, il gusto del raccontare storielle e barzellette. Elementi, questi. costitutivi dell’umorismo, che hanno sempre rappresentato quella vena carsica di “risorsa energetica”, necessaria a ciascuno in situazioni controverse. E’ una chiave preziosa, per sovvertire, rivoluzionare la quotidianità della vicenda umana. Leggerla con acume, offrendo esilaranti vie d’uscita, da quelle che a uno sguardo “asciutto”, possono apparire strettoie strangolanti. Alcuni, furono degli umoristi formidabili. Uno di loro, di spicco tra essi è sicuramente il romano Achille Campanile classe 1899.  Il padre Gaetano,  operava  nel campo del cinema muto, come sceneggiatore e regista. Vittorio De Sica, era imparentato con la famiglia Campanile essendo cugino del padre di Achille. Dopo aver trascorso un infanzia serena, il giovane Campanile, quasi subito trovò spazio come giornalista presso varie testate L’idea nazionale, II Travaso delle idee, La Tribuna.

Il collaboratore “estroso” prende il volo

Il giornalista alle prime armi, attirò attenzione su di sé con l’articolo, “Tanto va la gatta al lardo …”.  Silvio D’Amico, autorevolissimo critico teatrale del tempo,  notò subito l’estrosità di quel collaboratore, lo incuriosì molto e lo volle con se,  alla  “terza pagina”. Quella che seguendo l’impostazione dei giornali dell’epoca era dedicata ad argomenti culturali. Il giornale era L’idea Nazionale, periodico fondato nel 1911 dagli esponenti del Partito Nazionalista, Enrico Corradini e Luigi Federzoni. Nel corso degli Anni Venti, il suo tratto di scrittura, così anomalo e folgorante, cominciò ad affermarsi. Tra i suoi libri di maggior successo di quel periodo ricordiamo: Centocinquanta la gallina canta,  l’altro suo grande successo di quegl’anni fu Agosto moglie mia non ti conosco.

L’esperienza nel teatro

Incrementò la sua notorietà personale, anche come scrittore per il teatro con le sue Tragedie in due battute, Il ciambellone, o l’allestimento di L’amore fa far questo ed altro che poteva vantare veri e propri fuoriclasse dell’epoca, nella distribuzione dei ruoli. La regia affidata a Guido Salvini, con interprete Vittorio De Sica, solo per citarne i più significativi. L’esito della rappresentazione, al Manzoni di Milano, fu sulfureo e controverso. Il pubblico si divise drasticamente nella valutazione della commedia. Tutto questo, a dispetto dell’immagine rassicurante di posato ed elegante signore, con “la caramella” mantenuta costantemente in buona evidenza, che Campanile forniva di sé. In ben due occasioni, fece breccia nel cuore del mondo letterario qualificato vedendosi assegnare a distanza di decenni l’uno dall’altro due Premi Viareggio. Il secondo, assegnato con la sponda propulsiva di Umberto Eco.

L’umorismo e i giochi di parole

Nel corso del tempo aveva cumulato l’apprezzamento di Luigi Pirandello e, l’amicizia con Eugenio Montale. La convergenza d’attenzione, nei suoi confronti, di figure così eminenti, entrambi vincitori di Premio Nobel, induce a esercitare una riflessione maggiormente accurata su quelli, che a nostro avviso, vengono generalmente definiti, in maniera riduttiva   “giochi di parole”. Campanile, non ingaggiava un corpo a corpo con il linguaggio. Ne aveva una profonda conoscenza, sotto tutti gli aspetti. Ne sapeva le potenzialità, i limiti. Era pienamente consapevole, che il “linguaggio”, poteva imbizzarrirsi come un destriero indomabile, e inoltrarsi per sentieri imprevedibili. Il suo, era il Tempio del “nonsenso”, la corrosione di ciò che supinamente si da per accettato, ovvio, scontato.  Un sabotatore di conformismi.

Dubbi, incertezza, ripensamenti

Era come, se nel suo agire,  Campanile lasciasse che i  mattoncini di Lego delle parole da lui usate,  si andassero a comporre in frasi dalla lettura ambigua. Dal significato plurimo. Inaspettato. Il linguaggio restava nudo, nella sua precarietà. Animato, da una spasmodica ricerca, di assestamento in un significato certo e univoco. Reiteratamente il nome dell’umorista italiano è stato accostato a quello del Maestro del Teatro dell’Assurdo, Eugene Ionesco. Accostamento, dai fini conoscitori di entrambi gli autori, non condiviso pienamente. L’accuratissimo lavoro che l’umorista romano, faceva sul linguaggio, strutturava, facendo affiorare il sorriso sulle labbra, dubbi, incertezze ripensamenti, su quanto era stato appena detto. A conferma di ciò, la consacrazione del principio del “non  prendersi sul serio fino in fondo”,  possiamo dire che fu la stella polare seguita costantemente da Achille Campanile. Tra alcune delle sue celebri frasi, ne troviamo una in tal senso incontrovertibile: “Mi guidano quando scrivo lampi d’imbecillità”.

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