Enrico Ruggeri: «Non sono negazionista, Ma penso e non mi bevo tutto quello che dicono»
«In questa fase vengo nel mio studio, scrivo e faccio arrangiamenti con la band. Invece il lockdown mi è servito per finire il mio romanzo. Pensavo che lo avrei finito in due anni. Invece lavorandoci, sei ore al giorno l’ho terminato prima e uscirà a breve. Non sono stato uno di quelli che ha ceduto al concerto in pantofole in streaming». Lo afferma Enrico Ruggeri, uno dei piuù grandi cantautori italiani, in un’intervista al Giornale.
Enrico Ruggeri: «Io negazionista? Smettetela»
Gli hanno dato del negazionista. Lui rispedisce l’accusa al mittente. «È un malcostume che c’è da anni quello di delegittimare quello che dice l’altro insultandolo. Peraltro “negazionista” è una parola seria. Nessuno nega che ci sia un problema e nessuno ha mai detto che il virus non esiste. Si tratta solo di dare il giusto peso alla questione e alle priorità, su cui ognuno può avere un proprio parere».
«C’è chi si beve tutto quello che gli dicono»
«Indubbiamente», incalza Enrico Ruggeri, «c’è chi beve tutto quello che viene detto e chi cerca di approfondire un po’, provando a ragionare. Non credo sia da “negazionista” dire che quando si danno i dati bisognerebbe comunicare chi sono i morti». Non solo, anche «quanti anni avevano, se avevano altre patologie pregresse. E intanto nessuno dice che nel frattempo saranno morte centinaia di persone di cancro». Delle quali, aggiunge, «molti a causa delle diagnosi che non si sono potute fare».
Enrico Ruggeri e la questione degli ospedali
«Le persone che arrivano in ospedale rischiano di morire in attesa di capire se hanno il Covid invece di essere curate d’urgenza magari per un infarto», dice ancora Enrico Ruggeri al Giornale. C’è dell’altro, in questa emergenza. E cioè «l’amarezza di vedere il disprezzo nei confronti della musica, del teatro, del cinema». Ossia, «di tutte le forme d’arte che sono sempre state fondamentali per l’uomo». Senza dimenticare «che ci sono migliaia di persone che vivono di questo. Sono state totalmente abbandonate e non prendono uno stipendio, guadagnano se lavorano, se parte un tour».