Sinisa Mihajlovic e i giorni del dolore: «Avevo paura, piangevo e chiedevo aiuto a Dio»
«Ammalarsi non è una colpa. Succede, e basta. Ti cade il mondo addosso». Il tecnico del Bologna, Sinisa Mihajlovic, si confida con il Corriere della Sera. La conversazione riguarda la sua autobiografia La partita della vita incentrata sul cancro superato e in edicola con il Corsera e la Gazzetta dello Sport.
Sinisa Mihajlovic: «Cercavo di darmi forza»
«Cerchi di reagire», racconta il campione. «Ognuno lo fa a suo modo. La verità è che non sono un eroe, e neppure Superman. Sono uno che quando parlava così, si faceva coraggio. Perché aveva paura, e piangeva. Si chiedeva perché e implorava aiuto a Dio, come tutti. Pensavo solo a darmi forza nell’unico modo che conosco. Combatti, non mollare mai».
«È una maledetta malattia»
Chi non ce la fa «non è certo un perdente», sottolinea Sinisa Mihajlovic. «Non è una sconfitta, è una maledetta malattia. Non esiste una ricetta, io almeno non ce l’ho. Tu puoi sentirti un guerriero, ma senza dottori non vai da nessuna parte. L’unica cosa che puoi fare è non perdere voglia di vivere. Il resto non dipende da noi».
«Contano gli affetti»
Nell’autobiografia ha scelto di raccontarsi dal letto d’ospedale. «Non avrei potuto fare altrimenti. Adesso siamo qui a parlare, sul terrazzo della mia casa. Siamo davanti alla città più bella del mondo, Roma, mentre fumo il mio sigaro. Mi godo ogni momento. Prima non lo facevo, davo tutto per scontato. Conta la salute, contano gli affetti. Nient’altro. La malattia mi ha reso un uomo migliore».
Sinisa Mihajlovic e Vieira
Poi un ricordo. «Una cosa che non rifarei? Ottobre 2000, Lazio-Arsenal di Champions League. Da quando gioco a calcio ho dato e preso sputi e gomitate e insulti. Succede anche con Vieira. Gli dico “nero di m…”. Tre giornate di squalifica. Sbagliai, e tanto. Lui però mi aveva chiamato “zingaro di m…” per tutta la partita. Per lui l’insulto era zingaro, per me era m… Nei confronti di noi serbi, il razzismo non esiste».