Carlo Sgorlon, lo scrittore controcorrente che “denunciò” l’orgia marxista e la “foiba grande”
«Come potremo vivere in una dimensione totalmente razionale, quando siamo circondati dal mistero da tutte le parti? Si dirà: ma la scienza mette in fuga il mistero … Falso. La scienza non fa che spostare il mistero sempre più in la. Alza la soglia». Citazione di una frase dell’autore friulano Carlo Sgorlon. Scrittore nato a Cassacco il 26 luglio 1930 spentosi nella casa di residenza di Udine il giorno di Natale del 2009. Senza tema di smentita, penso che possa dirsi che l’autore friulano, sia lo scrittore della sua generazione che abbia ricevuto più riconoscimenti. Gli sono stati assegnati, infatti, circa quaranta Premi. Dal Supercampiello ricevuto per ben due volte, passando per la vittoria del Premio Strega quella del Flaiano e del Nonino solo per citarne alcuni. Ultimo in ordine di tempo, Il Premio alla carriera istituito in onore del suo amico Piero Chiara.
Carlo Sgorlon e la scelta di campo
Nella citazione riportata, si respira un aria di antiche consapevolezze. Sana. Vertiginosamente affascinante. Andata perduta. La responsabilità di questo per il romanziere friulano è incontrovertibile: «Credo di poter rispondere: causa della ideologia marxista che è razionalista,scientifica e pretendeva di creare un uomo in cui ogni spunto di carattere fantastico, religioso, superstizioso fosse eliminato. In Italia abbiamo vissuto una specie di orgia marxista che gettava discredito su tutto quello che non era riducibile alla ragione e alla scienza». Una scelta di campo chiara, coraggiosa, nella quale i “non allineati” di ogni sorta, possono trovare punti apprezzabili e condivisibili.
Una voce di libertà
Gli argomenti portati avanti da Carlo Sgorlon, sono di grande spessore. Non comprimibili in valutazioni di momenti di contingenza politica. Dispiegano convincimenti sulla visione della vita e del mondo. “Risonanze esistenziali”, delle quali l’Arte e la Cultura sono depositarie naturali. In nome di questo, il pluripremiato alzava la sua ferma quanto incisiva voce di libertà. Moto, di sovversione intellettuale, nei confronti di un clima di stoppaccioso conformismo. Non era certo solo questa la posizione scomoda e scorretta. Direi per l’epoca scorrettissima. Passibile dall’essere sottolineata, come sa bene, un ex maestro di scuola elementare come lui, con il pennarello rosso. La foiba grande, La malga di Sir, L’armata dei fiumi perduti Strega 1985. Trilogia, legata da un filo rosso (da intendersi non solo in senso figurato), che affronta, da diverse dolorose e crudeli angolazioni, strazianti vicende nelle quali la sua terra, rimase coinvolta durante l’ultimo conflitto mondiale.
“La foiba grande” e “La malga di Sir”
Sgorlon, si avventura con un piglio deciso, a riesumare fatti che molti volevano dimenticare, o dei quali addirittura alcuni volevano negare l’esistenza. Tre romanzi dai contenuti ancora incandescenti nella coscienza della popolazione friulana e nazionale. Nel primo, l’argomento trattato, si evince facilmente dal titolo La foiba grande. Il secondo La malga di Sir, si affronta l’eccidio della Brigata partigiana Osoppo, costituita da cattolici e repubblicani operato nella località di Porzus, da partigiani comunisti della Brigata Garibaldi. Nell’agguato, da questi ultimi operato ai danni dei partigiani della Osoppo, fu assassinato anche il fratello di Pier Paolo Pasolini. Nell’Armata dei fiumi perduti l’ autore affronta la vicenda dei Cosacchi, popolo che non si era mai piegato alla dittatura sovietica, che alleata con le forze dell’Asse, furono stanziate a presidiare zone del Friuli. Le sorti del conflitto, risucchiarono questo insediamento, nel drammatico vortice del girone degli sconfitti.
Protagonisti drammaticamente descritti
Situazioni, forti, aspre, contraddistinte tutte da un minimo comun denominatore che le unisce. Lo stigma delle operazioni del secondo conflitto mondiale. Non sono romanzi storici in senso stretto. La narrazione, da elementi reali, va a intrecciarsi, con le qualità di Sgorlon scrittore. Il quale ricorre a personaggi di fantasia. Protagonisti, drammaticamente descritti in un destino dalle tinte fosche, con i tratti epici della tragedia greca. Il pregio di queste sue opere consiste anche, nell’aver avuto la determinazione, di mettere sotto i riflettori, l’approfondimento di argomenti dei quali si mormorava furtivamente nelle case. Tra famigliari e amici stretti. Narrazioni, o fatti dei quali l’autore era venuto a conoscenza per le voci che circolavano in quel regime di semiclandestinità, o per testimonianza diretta.
Le atmosfere di casolari contadini
La “tradizione del racconto orale”, molto diffuso in Friuli, costituiva un galvanizzante carburante per la sua fantasia di scrittore. Pagine, quelle di Sgorlon, nelle quali il lettore quasi respira le atmosfere di casolari contadini assediati dalle temperature dei rigidi inverni di quelle zone. Tutte le generazioni della famiglia, riunita attorno al fuoco, dopo una giornata di duro lavoro. Dalle voci di gente semplice e contadina, accompagnata dal crepitio del bruciare della legna, prendevano corpo narrazioni di saggezza popolare, storie arabescate da notazioni fantastiche. Gemellate, con fiabe dal sapore magico. Tutta linfa viva, intensa. Che l’autore, con sapienza personale, riportava dovutamente calibrata con la sua fantasia, nei suoi lavori letterari.
Carlo Sgorlon e “Il trono di legno”
Ed è, ad esempio nel suo libro di grande successo vincitore del Campiello !973 Il trono di legno, che la ricchezza espressiva e valoriale di quel mondo, troverà idonea rilevanza. Scelta, che verrà confermata e, ancor maggiormente valorizzata nella sua opera Gli Dei torneranno. Libro che tratta, della civiltà contadina del suo amatissimo Friuli in rotta di collisione con le mode e “l’usa e getta”, proposte dalla modernità. E’ un grande insegnamento quello che ci lascia l’autore friulano. Quello di approcciarsi all’esistenza con la consapevolezza, che essa si dipana su due piani adiacenti: quelli della realtà e razionalità d’un canto e quello del magico e arcano indimostrabile dall’altro. Elementi, questi ultimi che possono sembrare fragili.
Andare contro la cultura egemone
Per dei buontemponi scientisti risibili. Affabulazioni, che hanno ben robuste ramificazioni però. Ne era pienamente consapevole lo scrittore, anche delle conseguenze di una certa “solitudine”, non esclusivamente di carattere intellettuale, del dazio che avrebbe dovuto pagare. «Seguo i grandi archetipi del narrare … So infatti di andare contro il gusto corrente la cultura egemone. So di essere il solo o quasi. Però c’è anche una certa soddisfazione a sapere di non essere uno che salta sul cocchio del vincitore, che in Italia tutti inseguono, ma sul quale non tutti riescono a saltare». E con queste considerazioni, l’autore friulano, ci mostra una squisita competenza nel saper trattare anche di “saltimbanchi”.