I grillini sono scappati ovunque: in 55 hanno già lasciato il M5S. E meno male che erano coerenti
Prendete nota: 36, 19 e 5. Chi vuole, può giocarli anche al lotto (non si sa mai). Ma per questi numeri c’entra più la politica che la cabala. Indicano rispettivamente, infatti, l’emorragia dei parlamentari grillini dall’inizio della legislatura. Il primo totalizza i transfughi della Camera, il secondo quelli del Senato mentre il terzo è riferito alle Stelle, simbolo del movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. In tutto (escluso l’ultimo) fa 55. Un esercito di peones che in questi due anni e mezzo di legislatura ha fatto la valigia per approdare su altri lidi politici, ivi compresi quelli dei quali avevano detto peste e corna fino a qualche ora prima.
È la risposta alle promesse tradite dai capi
I grillini sono praticamente ovunque, tranne che nei gruppi delle minoranze alloglotte. Fossero stati «padroni d’a’ lingua», per dirla con Alberto Sordi, li avremmo ritrovati pure dalle parti dell’Union Valdotaine o della Süd Tiroler Volkspartei. Da sempre, si sa, il Parlamento pullula di voltagabbana. Durante la Seconda Repubblica, non per niente post-ideologica e bipolare, cambiare casacca è stato uno degli sport più praticati. Governi nati e morti per mano di infallibili rabdomanti della poltrona. Un’ulteriore conferma dei vizi della Casta che contribuì non poco a gonfiare le vele del nascente movimento grillino.
I grillini si erano impegnati a dimettersi
«Quando arriveranno i nostri, cambierà tutto», assicurò Grillo. E per mostrare che non scherzava, pretese dai suoi candidati una sottoscrizione nero su bianco. Era l’abolizione di fatto del vincolo di mandato. Un impegno mai onorato. E così, tra chi ha recuperato radici di sinistra, chi ha ritrovato un cuore di destra e chi ha riscoperto una vocazione centrista, i grillini si sono sparpagliati in tutti i gruppi del Parlamento. Una grande fuga per la poltrona. Eppure mai veramente censurata dai capi del movimento. La ragione di tanta prudenza sta tutta nella necessità di evitare il derby dell’incoerenza. Già, da uno scontro a base di promesse tradite o di impegni rimangiati ben pochi grillini ne sarebbero usciti politicamente vivi. Meglio defilarsi all’inglese, uno per volta, senza far rumore. E che l’ultimo non chiuda la porta.