Mes, il rifiuto grillino demolisce la favola del M5S “redento”. Il Conte-bis non ha più senso

7 Dic 2020 12:39 - di Mario Landolfi
Mes

Dubitiamo fortemente che il voto di dopodomani al Senato segni la fine del Conte-bis. Di certo c’è che l’impuntatura grillina sul Mes ha il merito di smentire in radice la narrazione che l’ha tenuto a battesimo. Ad inventarla fu il suo king-maker Matteo Renzi per poi volare di bocca in bocca fino ad imporsi come motivazione ufficiale. Spiegò allora Renzi (e l’ha ribadito oggi a Repubblica) che il ribaltone non era una cinica manovra di palazzo bensì una delicata operazione chirurgica necessaria a staccare il redimibile populismo pentastellato dall’irrimediabile sovranismo salviniano. E che oltre al timore di «consegnare il Paese alle destre», pesava anche l’obiettivo di replicare su scala nazionale un segmento di quella “maggioranza Ursula” che aveva portato la Von Der Leyen alla guida della Commissione Ue.

Sul Mes o scoppia il MoVimento o il governo

Una narrazione extralarge per coprire comodamente i tanti voltafaccia sottesi alla nascita della nuova maggioranza. Si trattava di far digerire ai rispettivi elettorati i ripetuti e reciproci “mai con…” che da tempo sbarravano il passo ad alleanze o a pur semplici intese tra Pd e Cinquestelle. E niente più e meglio del bicarbonato dell’affidabilità europea avrebbe potuto mandare giù quel boccone così indigesto. Il resto lo fecero giornali e tv sobbarcandosi l’onere di impupazzare il Di Maio statista. Si illudevano che una grisaglia, un’aria simil-pensosa e un paio di accenni autocritici bastassero a trasformare l’estimatore dei Gilet Gialli nel clone di De Gasperi.

La “maggioranza Ursula” è una clamorosa bugia

Un’illusione, appunto. L’avversione alla riforma del salva-Stati e ancor di più all’utilizzo del Mes pandemico lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio. Cosicché oggi, fallita l’operazione-distacco e smentita la narrazione-Ursula, a giustificare l’esistenza in vita del Conte-bis non resta più niente, se non il bollettino dei morti e la curva dei contagi. Un po’ poco alla luce della pioggia di miliardi promessa dal Recovery Fund. Potrebbe mai gestirli un governo privo di vero respiro politico? Certo che no. Men che meno uno che vivacchiasse di alchimie parlamentari o, peggio ancora, che pretendesse di dribblare la stringente logica dei numeri ricorrendo a trucchetti da funambolo.

Il premier deve dimettersi, come Berlusconi nel 2011

Non è più quel tempo. Al netto di ogni retorica, l’ora è grave e l’Italia non può più attendere. Se sul Mes il governo va sotto, e pure se dovesse riuscire a galleggiare in forza della propria insostenibile leggerezza, Conte dovrà salire il Colle. Lo impone la decenza istituzionale in uno con il precedente del 2011, quando toccò ad un Silvio Berlusconi mai sfiduciato dal Parlamento rassegnare le dimissioni. Sarebbe davvero singolare se quel che si pretese allora dal premier dell’ultimo esecutivo espressione della volontà popolare, venisse ora risparmiato al prestanome di un governicchio nato da un calcolo truffaldino e da una narrazione bugiarda.    

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