Giustizia, dopo le parole di Gratteri è allarme tra le toghe. Md: «A rischio la libertà di giudicare»
Le parole di Nicola Gratteri e la sentenza sul Borsellino quater hanno spinto Mattia Feltri a segnalare le tante «cose straordinarie» che accompagnano in Italia le questioni della giustizia. Persino troppe in verità per continuare a voltare la testa dall’altra parte. In materia, nell’ultimo quarto di secolo, abbiamo sperimentato di tutto: dai pre-avvisi di garanzia a mezzo stampa ai pm capi-partito, passando per inchieste il cui clamore mediatico si è rivelato spesso inversamente proporzionale ai risultati ottenuti. Sempre che, beninteso, quello realmente agognato dal pm non fosse lo sputtanamento del malcapitato di turno. Non necessariamente politici, ma anche imprenditori, manager, normali cittadini. In numero sufficiente da riempire con i loro nomi il tronco di un obelisco.
Renzi voleva Gratteri ministro
Eppure qualcosa mancava nella terrificante congerie della tribolata giustizia italiana, pur ricca di «cose straordinarie». L’avvertimento a mezzo stampa, ad esempio, tra magistratura requirente e giudicante, cioè tra chi accusa e chi decide. E qui entra in scena Gratteri. Il procuratore capo di Catanzaro è una stella di prima grandezza del premiato circuito mediatico-giudiziario. A dispetto di più di un fiasco registrato dalle sue inchieste, Matteo Renzi lo voleva ministro con tanto di «carta bianca» per la riforma dei codici. A stopparlo sulla soglia del Quirinale fu Giorgio Napolitano. Di recente Gratteri è tornato alla ribalta per aver indagato il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Nome eccellente per un’inchiesta dal meritato clamore mediatico. In piena crisi di governo, con il nome di Cesa tra quelli concupiti da Conte per infoltire le disperate schiere di “costruttori“, la vicenda attira anche l’attenzione del Corriere della Sera.
Il silenzio di Bonafede
Ed è proprio chiacchierando con quel giornale che Gratteri aggiunge un’altra mela avvelenata al cesto di «cose straordinarie». Richiesto di spiegare perché tante sue inchieste finissero in altrettante bolle di sapone, il procuratore ha infatti risposto adombrando una questione morale tra i giudici calabresi. «La storia chiarirà anche questo»,è stata la sua sibillina conclusione, lasciando intendere che presto scoperchierà il pentolone di inconfessabili collusioni. Parole che per le toghe rosse di Magistratura democratica si traducono in un attentato alla libertà di chi deve giudicare. Già, il rischio che dopo questo avvertimento, gip, gup e giudice del dibattimento staranno attenti a non urtare troppo Gratteri è altissimo. Ma il dubbio più angosciante è un altro: di tutte queste «cose straordinarie», se ne sarà almeno accorto Bonafede?