In Italia c’è una democrazia senza il popolo. E c’è un “popolo sovrano” che non ha sovranità
Una recente ricerca, elaborata da Enzo Risso per Domani, ha evidenziato come il 48 per cento degli italiani considerino superato il parlamentarismo, arrivando ad auspicare un “leader forte disposto a infrangere le regole”. Il fulcro della delegittimazione trae origine da una profonda avversione verso le élite, con il 76 per cento dell’opinione pubblica che sente gli esperti lontani e incapaci di comprendere i bisogni e le esigenze della gente comune, fino ad arrivare all’84 per cento del campione che ritiene lo scontro tra popolo e élite destinato ad aumentare nei prossimi anni.
Il disagio del popolo “sovrano”
Queste “tendenze” non sono una novità, anche se appaiono essere andate ben oltre i fisiologici livelli di guardia registrati nel passato. Al punto che si può parlare di un disagio “strutturale” nel rapporto tra cittadini-elettori ed istituzioni parlamentari (tra la volontà popolare e chi dovrebbe rappresentarla), un disagio non condizionato direttamente dalle contingenze politiche e dall’ennesima crisi di governo.
La crisi del sistema democratico
Sono numerosi gli studi che, nell’ultimo decennio, si sono interrogati sulla crisi del sistema democratico, fino a parlare di democrazia illiberale e di “demos assente”, cioè di una democrazia senza popolo, di un potere del popolo che non ha potere, di un popolo sovrano senza sovranità. Tra i saggi sull’argomento: La democrazia contro se stessa, L’odio per la democrazia, Democrazie senza democrazia, La democrazia senza partiti, La democrazia è una causa persa ?, Vita e morte della democrazia, Contro le elezioni-Perché votare non è più democratico, “In democrazia il popolo è sempre sovrano”-Falso !), i cui autori, al di là delle diverse scuole d’appartenenza, sono uniti nel constatare la perdita di fiducia verso le istituzioni democratiche da parte del popolo sovrano.
La perdita di ruolo dei partiti
Le cause di questo “distacco” tra istituzioni parlamentari e cittadini, così come emergono da questa ampia saggistica sono: il divario tra ciò che pensa il cittadino e ciò che fa l’uomo politico, suo rappresentante; l’odio delle oligarchie economiche e statali; la mancanza di controllo sulle decisioni dei centri di potere “irresponsabili”, che presiedono alla produzione e all’allocazione delle risorse materiali, influiscono in maniera determinante sulla politica degli Stati, plasmano l’opinione pubblica, condizionano pesantemente i processi elettorali; la perdita di ruolo dei partiti, intorno a cui si sono costruite le democrazie parlamentaristiche occidentali; la difficoltà a governare il pluralismo delle società complesse; la sudditanza ai dettami della globalizzazione; il venire meno della capacità di coinvolgimento critico del cittadino, segnato dall’individualismo e dal consumismo.
La debolezza del sistema
A questo si aggiunga la gracilità del nostro sistema parlamentare, in balia degli orientamenti e degli umori interni ai partiti, il fatto che deputati e senatori esercitano la loro funzione senza vincolo di mandato (con il dilagare del “trasformismo” ed il passaggio da un gruppo parlamentare all’altro), la mancanza di continuità dei governi (tema peraltro evidenziato, in sede di Costituente da Costantino Mortati, che voleva la durata biennale degli esecutivi, e da Egidio Tosato che propose, senza successo, l’introduzione della “sfiducia costruttiva”).
Da una parte il popolo, dall’altra le élite
Ultimi, ma non ultimi, gli errori delle élite globaliste, nazionali ed europee, con il fallimento delle promesse di sviluppo e di democrazia, che, da qualche decennio, ne avevano accompagnato le scelte, con il risultato – come ha notato Enzo Risso, a conclusione della sua ricerca – “dell’abbandono, da parte dell’universo politico, di uno spirito costituente, di un perimetro di comunanza di destino, entro cui collocare i tratti complessivi e condivisi dell’evolversi sociale ed economico della nazione”.
Occorrono interventi strutturali
Di fronte a questo quadro, dalle tinte fosche, che fa presagire, con l’accentuarsi del distacco tra cittadini ed istituzioni, forme anche radicali di protesta, negare l’urgenza di interventi “strutturali” all’impianto costituzionale, proprio nell’ottica di una maggiore coinvolgimento dei cittadini-elettori (un’idea tra le tante quella del “Sindaco d’Italia”, eletto direttamente) significa ripetere errori già compiuti, resi ancora più gravi dal tempo trascorso e dall’emergenza attuale. La politica dello struzzo non paga. Essa rischia anzi di trasformarsi in una cesura irreparabile, dai risultati drammatici e dirompenti. E’ rispetto a questa crisi che il mondo della politica dovrebbe trasversalmente sentirsi “responsabile” ed intervenire di conseguenza.