Uno Bianca, dopo gli scoop giornalistici fuori i nomi dei depistatori: spuntano nuove carte
8 Gen 2021 14:22 - di Redazione
Uno Bianca. Lo scorso 2 gennaio, il nostro collaboratore, Massimiliano Mazzanti, pubblica e illustra su YouTube i contenuti di un’intercettazione telefonica effettuata dalla Polizia nell’agosto 1992. A parlare al telefono sono Marino Bersani e tale Enzo, di cui non si sa molto, tranne che si tratterebbe di un ex-carabiniere, amico dello stesso Bersani. Marino Bersani era il padre di Simonetta Bersani, la quale, nel 1992, era la “teste chiave” nel così detto “processo del Pilastro”, quello che avrebbe dovuto consegnare alla giustizia gli assassini che consumarono l’eccidio dei tre carabinieri a Bologna il 4 gennaio 1991 e in cui trovarono tragicamente la morte Andrea Moneta, Otello Stefanini e Mauro Mitilini.
Uno Bianca, i nuovi documenti
Quel delitto fu compiuto dai fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi, componenti della così detta Banda della Uno Bianca, mentre Simonetta Bersani accusava una banda di piccoli pregiudicati locali e, in particolare, i fratelli Peter e William Santagata. Più volte su queste pagine, all’indomani dell’arresto dei Savi, Mazzanti aveva denunciato la natura mendace della testimonianza di Simonetta Bersani – e di altri testi coinvolti in quel processo -. Sottolineando anche, in un suo libro uscito nel 2008 e ripubblicato nel 2013, come fosse chiaro che la ragazza, diciassettenne all’epoca dei fatti, non poteva essersi inventata da sola tutte le cose che raccontava in Questura, in Procura e in aula a carico di innocenti. Che, alla fine, furono anche risarciti dallo Stato con 400 mila euro circa per le ingiuste accuse e detenzione patite a causa di quelle mendaci deposizioni.
Ora, i nuovi documenti, in cui emerge come il padre della ragazza fosse consapevole che la figlia si facesse condizionare “dai capi”, intendendo chiaramente con questa espressione personaggi ancora da identificare della Questura o della Procura di Bologna – lo si capisce dal resto della telefonata intercettata -, confermano pienamente i dubbi sollevati in questi anni. E con che clamore: il Resto del Carlino, La Repubblica e il Corriere della Sera, tutti hanno ripreso queste carte. Chiedendosi in vario modo se non sia venuto il momento di fare finalmente chiarezza su questa vicenda criminale che macchiò di sangue le strade di Bologna e dell’Emilia Romagna per sette anni.
L’interpellanza di FdI
Anche a livello parlamentare si assumono iniziative, con un’interpellanza presentata da Galeazzo Bignami per Fratelli d’Italia e con almeno un’altra non ancora formalizzata, ma annunciata dalla Lega. A che fine, però, riaprire questa vicenda? Simonetta Bersani fu rinviata a giudizio per falsa testimonianza, calunnia e diffamazione, nel 2002. Ma, poi, incredibilmente, il processo s’impantanò, venne aperto solo alla fine del 2007 e, già nella prima udienza, venne rilevato come in quelle immediatamente successive alla Corte non sarebbe rimasto altro da fare che archiviare il tutto per intervenuta prescrizione dei reati.
In questo modo il Tribunale di Bologna – semplice malagiustizia? – impedì, di fatto, di conoscere chi e per quale motivo, strumentalizzando una ragazzina, aveva sviato dal ’91 al novembre del ’94 le indagini sulla Uno Bianca, indirizzandole su una pista sterile; e, di conseguenza, permettendo ai Savi di agire impunemente. Mazzanti, per la verità, nel suo libro e in articoli pubblicati sul Secolo d’Italia, alcuni di quei nomi li ha rivelati e si possono ancora leggere: carta canta. Ora, però, toccherebbe ai magistrati e al Parlamento decidere di pronunciarli ad alta voce, chiedendo magari, laddove sia ancora possibile e ancorché siano passati esattamente trent’anni dalla strage dei carabinieri al Pilastro, che i funzionari della Polizia e i magistrati a cui quei nomi appartengono vengano chiamati ad assumersi le responsabilità di quei depistaggi.