Zangrillo: “Io, volontario, somministro i vaccini ai nonni. Lo faccio per i miei figli”

16 Gen 2021 13:36 - di Natalia Delfino
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Non un “lavoro di secondo piano”, ma “una delle esperienze più belle della mia vita”. Anche Alberto Zangrillo è tra i medici che hanno risposto alla chiamata per somministrare i vaccini, dando una settimana fa la propria disponibilità alla Regione ed entrando poi in servizio in una Rsa di Milano.

Zangrillo in campo per somministrare i vaccini

“Senti che fai qualcosa di speciale per persone che potrebbero correre grandi rischi a causa del virus. E ti immedesimi”, ha spiegato il professore, primario di Anestesia e rianimazione all’ospedale San Raffaele e prorettore dell’Università Vita-Salute, chiamando affettuosamente i suoi pazienti “nonni”. Zangrillo ha preso la decisione “una settimana fa”. “Ho chiesto alla Regione e mi è stato detto che avrei potuto essere di supporto nelle strutture in capo all’Asst Fatebenefratelli-Sacco. Nei giorni scorsi ho preso conoscenza della procedura e iniziato le vaccinazioni alla Rsa Quarenghi e al centro Girola con i miei collaboratori“, ha raccontato al Corriere della Sera, che ne ha raccolto la testimonianza.

“Apporto pratico e dimostrativo. Penso ai miei figli”

Lo faccio per i miei figli. Stiamo rubando loro il futuro”, ha aggiunto il professore, sottolineando che “il problema non è che ci dimentichiamo gli anziani, ma le persone”. “Stiamo vivendo sull’onda di previsioni e teoremi che si discostano dalla realtà quotidiana. Il mio piccolo apporto – ha spiegato – vuole essere dimostrativo e soprattutto pratico, un riconoscimento d’attenzione per chi è stato oggetto di discorsi vili”.

Il monito: pensare alla persona, non all’età

Zangrillo, quindi, ha sottolineato che “qualcuno ha pensato che si potessero applicare priorità di intervento terapeutico in base all’età“. Ma “se si va per categoria vuol dire che non abbiamo capito nulla”. “Se sono bravo con il triage, vado incontro alle necessità di cura del paziente. Ogni malato ha bisogno di una sua terapia. Questa malattia – ha chiarito il medico – ci ha insegnato un comandamento: la terapia del malato inizia a domicilio. E l’errore terapeutico a domicilio spesso si paga con la morte del paziente”.

 

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