Mio Italia gioca la carte della disobbedienza civile. Bianchini: «Sciopero fiscale finché non ci riaprono»
La pazienza è davvero finita. Lo avevano giurato da piazza del Popolo a Roma lo scorso 25 gennaio. «Se il primo febbraio non ci riaprono, game over». Questa le parole di Paolo Bianchini, presidente di Mio Italia, a conclusione della manifestazione della filiera della ristorazione per dare la sveglia al governo. Un governo talmente ‘cialtrone’ – aggiungono – che ora non esiste più. E chissà cosa uscirà dal cilindro truccato di Fico esploratore.
Mio Italia: sciopero fiscale a oltranza
Il movimento imprese e ospitalità, dopo dieci mesi di trincea, parte con la ‘disobbedienza civile’. Il primo febbraio, infatti, non è accaduto nulla. La riapertura delle zone gialle nella maggior parte d’Italia non ha portato nessun conforto ai ristoratori. Costretti ancora a rimanere chiusi negli orari serali, gli unici che potrebbero garantire un minimo di fatturato.
Game over fino alla riapertura serale
Game over, dunque. Parte lo sciopero fiscale a oltranza delle migliaia di aziende di somministrazione di alimenti e bevande (soprattutto ristoranti, bar, pub e pizzerie), associate a Mio Italia, aderente a Federturismo Confindustria. «Non ce la facciamo più. Non abbiamo liquidità e non possiamo continuare a versare le tasse allo Stato. Che ci sta facendo fallire favorendo le multinazionali. Siamo costretti a difenderci. Nel 2020 – spiega Bianchini furioso – le aziende che rappresentiamo hanno subito una perdita media del fatturato del 55% rispetto al 2019. Una batosta da 45 miliardi di Pil del nostro Paese».
Bianchini e la ‘rivoluzione romantica’
Quindi dal 1° febbraio non pagheranno più un euro di tasse. «Almeno fino a quando il governo non ci consentirà di aprire anche a cena in tutta Italia. Ovviamente seguendo i protocolli di sicurezza». Il numero uno di Mio Italia invita tutti i colleghi, indipendentemente dall’iscrizione al movimento, a scioperare.
“Dobbiamo difenderci per non morire”
Uno strumento frutto anche della disperazione. Non ci sono i soldi. Per molti di loro sono letteralmente finiti. Se non si fattura e i ristori, quando esistono, sono elemosina, non ci sono molte alternative. “Utilizzando lo strumento dell’autotutela – spiega Bianchini – chiederemo all’Agenzia delle entrate, alle esattorie locali e alle utilities e alla municipalizzate la sospensione di tributi nazionali e locali o le tariffe per i servizi. Pagando solo i contributi ai lavoratori. Non possiamo versare imposte o il corrispettivo di servizi, dei quali non abbiamo potuto usufruire perché il Paese era chiuso per lockdown. Oppure per le ultime restrizioni dei Dpcm nazionali».
L’accanimento ideologico del governo Conte
Il governo conferma l’assoluto menefreghismo verso l’intero settore. Quasi un accanimento ideologico. «Con i nuovi provvedimenti il governo sembra volerci colpevolizzare. Indicarci come gli untori». Lo dicevano a ottobre, quando non potevano immaginare il peggio dei mesi successivi. Le chiusure di Natale, il terrorismo psicologico di certi virologi. Contro i quali Mio Italia ha depositato un esposto per procurato allarme. Il sospetto nel corso delle settimane è diventata una certezza. Perché i ristoranti chiusi e gli autogrill no? Perché bar, ristoranti, enoteche costretti a zigzagare tra regole impossibili e centri commerciali aperti? Autobus, metro, treni stracolmi? “Il punto non è essere gialli, rossi, arancioni – spiegano – ma farci riaprire la sera per non farci morire”.
L’Horeca non può morire
L’Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café), rischia il collasso con un effetto a catena devastante. A vantaggio delle grandi multinazionali del cibo. Il rischio è anche sociale-culturale-identitario. I ‘capitani coraggiosi’ della disobbedienza civile la chiamano rivoluzione romantica. Cosa c’entra il romanticismo?
Le piccole imprese attaccate dalle multinazionali
«Il disegno – spiega ancora il presidente di Mio Italia, ristoratore viterbese – è quello di azzoppare l’eccellenza italiana far prosperare le grandi multinazionali. L’Italia, a differenza di diversi altri paesi europei ha mantenuto vivo il tessuto delle specificità gastronomiche regionali. Grazie a una fitta rete di piccole e medie imprese attive nel settore dell’ospitalità. «Ora stanno subendo la penetrazione delle grosse multinazionali. E sarà sempre peggio. Quando le piccole imprese saranno costrette a chiudere i battenti. E a cedere le proprie attività, magari a costi da discount».