Cucchi, i giudici sui medici salvati dalla prescrizione: la situazione fu sottovalutata

2 Feb 2021 20:28 - di Silvio Leoni
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La prescrizione ha “salvato” i medici indagati per la morte di Stefano Cucchi da una condanna ma, per i giudici del terzo processo d’Appello, resta comunque il fatto che allo spacciatore, “un paziente di difficile approccio, probabilmente scarsamente disponibile all’interlocuzione, forse con venature antisociali, certamente oppositivo ed ancorato ad una caparbia ed infantile posizione di rifiuto dei trattamenti”, non venne garantita la adeguata assistenza per imprudenza, imperizia e negligenza, venne sottovalutata l’ipoglicemia e la bradicardia. Due “fattori d’allarme che avrebbero imposto cautela”. E un monitoraggio continuo avrebbe potuto superare la crisi cardiaca che fu fatale a Cucchi.

Sono queste le motivazioni della sentenza che il 14 novembre 2019 ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per 4 medici dell’ospedale Sandro Pertini e l’assoluzione per un quinto medico, tutti accusati di omicidio colposo.

I detenuti non sono numeri ma esseri umani, ammoniscono i giudici romani. E lo Stato non può disinteressarsi di un detenuto.

Ed è troppo semplice dire, secondo i giudici, che Cucchi rifiutò le cure. Doveva, invece, essere informato – e non lo fu, sulle sue condizioni di salute e sui rischi che correva in quel momento.
Solo uno dei medici, Stefania Corbi, ottemperò agli obblighi propri della professione ma la situazione era oramai compromessa. Da parte di altri medici ci fu, invece, un “agnosticismo sconcertante”. E non si interrogarono sulla vicenda.

Siamo in presenza di “un festival di insipienze che deve aver prodotto una reazione, definiamola puerilmente sdegnata, da parte di un soggetto” – scrivono i giudici nelle 69 pagine della motivazione della sentenza che il 14 novembre 2019 ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per 4 medici dell’ospedale Sandro Pertini e l’assoluzione per un quinto medico, tutti accusati di omicidio colposo –  Stefano Cucchi, “verosimilmente già portatore di proprie fragilità. Di qui il passo è breve: lasciarsi andare, optare per il tanto peggio tanto meglio per far nascere nelle persone che si reputano intimamente responsabili del suo stato il senso di colpa”.

“Occorre considerare – ricordano i magistrati romani – che il Cucchi versava già da tempo nelle condizioni di grave denutrizione e disidratazione che conosciamo e tuttavia manteneva un equilibrio che gli consentiva di tollerarla”.

“Certamente – ammettono i giudici – vi erano stati fattori scatenanti che si erano aggiunti a quelli preesistenti: la somministrazione di farmaci antidolorifici dagli effetti bradicardizzanti, il dolore intenso provocato dalle fratture in atto, fors’anche una più acuta crisi ipoglicemica. Ma, a fronte di tutto questo, ove fosse stata formulata una corretta diagnosi di base, si sarebbero dovuti approntare a maggior ragione interventi prudenziali e cautelativi per esser pronti a indurre quell’inversione di tendenza dei fenomeni clinici che avrebbero salvato la vita al paziente. Questo non è stato – sottolineano i giudici – e quindi, al di là del momento della irreversibilità dei fenomeni, sicuramente sussiste una condotta colposa, causalmente efficiente, che ha provocato il decesso di Cucchi“.

In tutto questo, ammettono i giudici con amarezza, la prescrizione è il fallimento della giustizia.

Parla di “multifattorialità” la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria commentando, su Facebook, le motivazioni della sentenza: “Senza quel violentissimo pestaggioStefano “non sarebbe mai stato ricoverato al Pertini e non sarebbe morto tra atroci sofferenze“.
“Non dimentichiamo che al momento del suo arresto era da poco uscito dalla palestra” aggiunge Ilaria Cucchi.

“Si tratta di una sentenza particolare dove l’estensore si è soffermato lungamente sulle cause del decesso, dimenticandosi uno scrutinio del necessario nesso di causalità tra la condotta di ogni singolo medico e l’evento – sostiene l’avvocato Gaetano Scalise, difensore di Aldo Fierro, primario del reparto dell’Ospedale Sandro Pertini quando Stefano Cucchi morì il 22 ottobre del 2009 – L’errore è ancora più evidente laddove due posizioni sovrapponibili in punto di fatto sono state giudicate e in maniera diametralmente opposta. Certamente – conclude – proporremo ricorso per Cassazione”.

 

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