Errori e sprechi, Calabria affossata. Solo Scopelliti lavorò per far rialzare la testa alla Sanità
Calabria affossata, mai come adesso. La sanità? Un circolo infernale. Decenni di commissariamento per produrre il nulla. Un centinaio di miliardi di euro spesi per dichiarare emergenze. Il neocommissario, Guido Longo non usa mezzi termini, lo dice chiaramente, non può operare perché non ha mezzi e uomini. Ma il piano per risanare, potenziare, evitare sprechi nella sanità c’era. Non è mai stato attuato. E oggi, in piena emergenza Covid in Calabria, anche se il virus non ha lo stesso indice di contagio del nord, si rischiano chiusure e blocchi.
La storia è antica, ma la verità è una e si tende a dimenticarla. Oltre quindici anni fa l’ex governatore Agazio Loiero si era ritrovato con un disavanzo annuo di oltre 250 milioni di euro per la sanità. Aveva firmato il piano di rientro, senza alcuna interlocuzione con sindaci, associazioni di categoria. Non poteva fare altro, anche perché tutto questo non accadeva solo in Calabria, la stessa procedura (articolo 1 comma 180 della legge 311|2004) valeva anche per altre regioni. Andava rivisto tutto. Non funzionavano presidi ospedalieri e Asl. Nel 2010 all’insediamento di Giuseppe Scopelliti il buco è di un miliardo e 400 milioni di euro. In 4 anni il disavanzo diminuisce, si arriva a 31 milioni, ma soprattutto si riorganizza un settore. Un lavoro lento che andava continuato negli anni. Scopelliti lo dice chiaramente, bisogna lavorare per dieci anni. Invece da allora è accaduto poco o niente. Fa comodo che la sanità in Calabria resti in un girone infernale chiamato emergenza?
«Più mettevamo mano in quei conti strampalati, più i risultati economici e finanziari miglioravano, al punto che avevamo creato le premesse per ridurre le super aliquote fiscali», lo scrive l’ex governatore Scopelliti, nel suo libro “Io sono libero”. La risposta più semplice a questa dichiarazione è: «Bene, in fondo aveva chiuso tutto». Sbagliato. Chiudeva per poi risanare e far rinascere eccellenze. I medici in Calabria non sono di serie B, ma chi è rimasto nella sua terra ha difficoltà immani. Ogni giorno combatte, in trincea, senza strumenti.
Al momento dell’insediamento dell’ex governatore c’erano 60 ospedali per due milioni di abitanti. Fuori da ogni standard italiano. In realtà esistevano, ma con enormi difficoltà, a volte erano solo cattedrali nel deserto. L’obiettivo di convertire undici presidi ospedalieri in case della salute, otto da trasformare in lunga assistenza, 5 in strutture riabilitative, era già tutto scritto (delibera regionale 585 del 10 settembre del 2009) quando arriva Scopelliti in Regione. È questa la traccia da seguire. E lui prova a farlo. Fino a quel momento non era accaduto nulla. Tant’è che il mancato rispetto delle scadenze previste aveva portato il Consiglio dei ministri a deliberare in data 20 luglio del 2010 alla nomina di Scopelliti commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro. Prima di quella data si andava avanti con bilanci orali. Chi dopo (a prescindere dai colori politici) ha provato a cambiare qualcosa ha pagato un prezzo molto caro. Con Scopelliti governatore le cose cambiano. Ogni Asl, magicamente, riesce a fare un suo bilancio, almeno su carta. Cosa prima mai vista. Oggi si è ritornati indietro.
Scopelliti, tre mesi dopo la sua nomina a commissario, riesce a certificare la spesa debitoria della Regione, del piano di rientro non può cambiare nulla, ma prova a far presto, perché la mancata attuazione di esso comporta il prolungarsi del blocco delle risorse, mentre l’attuazione completa la fruibilità di strutture e servizi. Solo che l’emergenza fa comodo. In realtà in poco tempo <si erano già concretizzati i miglioramenti dei più alti indicatori di efficienza, come i livelli essenziali di assistenza, portati fuori dall’area critica. A ciò si aggiunga la riorganizzazione della rete di assistenza, per esempio per le patologie tempo – dipendenti, come il trasporto neonatale>, scrive Scopelliti nel suo libro. Ed è vero perché alla chiusura degli inutili orpelli ospedalieri che provocavano più vittime che altro, si era attivata l’assistenza territoriale della rete emergenza – urgenza. E la spesa lorda per l’assistenza farmaceutica aveva registrato un risparmio di 50 milioni di euro in tre anni. Il personale? In Calabria vi era un esubero di oltre 3mila unità con competenze non mediche né infermieristiche. Fluttuavano nel limbo delle clientele uscieri, segretari impiegati. E il blocco in realtà aveva riguardato proprio quelle categorie.
L’ex governatore rafforza la stazione unica appaltante e questo significa che qualsiasi strumento o materiale ha un prezzo comune, cioè non può costare di più a Cosenza e meno a Reggio. C’è un controllo. Un bilancio. Si arriva ad una nuova rete assistenziale, da 36 a 18 presidi ospedalieri per acuti riesce ad aggiungere gli ospedali di montagna, nei luoghi più impervi di una regione bellissima e geograficamente difficile, per una rete viaria inesistente e per valli e monti e coste che la rendono unica al mondo. Ottiene il nuovo corso della politica calabrese 8 spoke, 3 hube, 4 ospedali generali, 4 di montagna, 14 ospedali distrettuali.
Un ospedale di zona montana ha un pronto soccorso, una medicina generale, un day surgery. Lo spoke è un ospedale generale polispecialistico sede di Dea di primo livello. Un hub è un ospedale regionale con elevate specialità sede di dipartimento di emergenza accettazione (DEA) di secondo livello. Tutto questo non è poco e viene fuori da anni di confronto col Ministero che condivide l’impianto generale. Oggi? C’è un commissario, che per quanto possa avere competenze e buona volontà, ha di fatto davanti bilanci orali, conti non certificati, la sanità è in mano a burocrati e l’emigrazione sanitaria verso le strutture del nord cresce a dismisura. Viene da pensare ma è questo l’obiettivo?