Palamara alza il tiro: Ermini? Anche lui eletto al Csm col sistema dell’hotel Champagne. E Pignatone…

1 Feb 2021 18:40 - di Paolo Lami

Luca Palamara alza il tiro suoi suoi ex-colleghi che lo hanno messo all’indice ed espulso dalla magistratura trattandolo come un appestato.

E quello che era un timore recondito, il fastidioso ronzio di un’ape vicino all’orecchio, inizia a prendere pericolosamente concretezza: Luca Palamara ne ha per tutti, nessuno escluso.

La biblica parola d’ordine è: “muoia Sansone con tutti i Filistei”. E l’azione è conseguente.

Il problema per i suoi ex-colleghi a questo punto non è più “chi”, ma “quando”. E “come”.

Prendiamo Ermini, il placido avvocato toscano proiettato da Renzi ai vertici del Csm.

Ieri fra Ermini – che ha definito incautamente l’ex-pm romano una “scoria” – e Palamara, c’è stato il primo round. Oggi è arrivato il resto.

“La versione iniziale per cui il ‘Sistema’ (sottinteso Palamara, ndr) si identificava in quella famosa notte all’Hotel Champagne, alla quale avevano partecipato Lotti, Palamara e Ferri, e che avrebbe significato l’aspetto più deteriore del correntismo, oggi non l’accetta più nessuno per un motivo molto semplice: il vicepresidente Ermini è ancora il vicepresidente del Csm e venne eletto con lo stesso meccanismo di quella sera”.

Parole sferzanti quelle pronunciate dall’ex-presidente dell’Anm Luca Palamara nel corso di una diretta sui canali Facebook e YouTube del Fatto Quotidiano.

“Sono a disposizione di tutti – ha aggiunto Palamara facendo rabbrividire ancor di più gli ex-colleghi. – Io mi sento un uomo delle istituzioni, ho un ruolo istituzionale, quindi se mi chiama la Commissione Antimafia sono assolutamente a disposizione. Però penso che sia altrettanto molto importante una mia audizione presso la competente Prima Commissione del Csm, che dovrebbe essere il luogo deputato a verificare se quello che racconto corrisponde al vero o no”.

Insomma i giochi sono solo all’inizio.

Spianato Ermini, Palamara passa al testo della truppa. E volano gli stracci.

In cima alla lista c’è, dopo Ermini, il suo ex-collega della Procura di Roma, Giuseppe Cascini. A cui Palamara lancia un invito provocatorio: racconti le modalità sull’iscrizione del pm Woodcock nel registro degli indagati.

“Sarebbe cosa buona e giusta che invece che sia io a raccontare le modalità con le quali venne iscritto il dottor Woodcock, ne riferisse il dottor Cascini? Penso di sì”.

“Io di tutte queste cose – aggiunge Palamara -, al di là delle mie posizioni testimoniali, sono pronto ad andarne a parlare anche in un pubblico confronto. Io rimetterei a lui la palla, sarebbe più giusto, ormai che la cosa è venuta fuori, che lui raccontasse quello che mi raccontò, così facciamo prima”.

Su questo, conclude Palamara, “direi che per un’operazione verità sarebbe più opportuno che lui raccontasse quello che mi disse”.

Reagisce quasi in tempo reale Cascini. Che replica a Palamara – ma si rivolge all’intera categoria – scrivendo sulle mailing list dell’Associazione Nazionale magistrati.

“Ritengo di poter escludere di aver incontrato Luca Palamara il 5 luglio 2018. Non che mi ricordi, ma sul mio telefono non trovo contatti con lui in quei giorni – spiega Cascini. – Mentre trovo un messaggio del 4 luglio 2018 a mio figlio nel quale gli dico che il giorno dopo mi fermo al mare e mi accordo per pranzare insieme il venerdì 6, cosa che, sempre sulla base dei messaggi, risulta avvenuta”, chiarisce Cascini.

Ancora, spiega il togato, “non ho mai saputo della esistenza di una intercettazione tra Legnini e Cirino Pomicino, nella quale si parlava di Woodcock. Non so se una tale intercettazione esista. Non posso aver parlato con Palamara di una intercettazione della quale ignoravo (e ignoro) l’esistenza. Non parlo con Henry J. Woodcock da anni e certamente non mi ha riferito il contenuto di una intercettazione del genere. Ignoro quale interesse potessi avere io a veicolare a Palamara un messaggio del genere”.

“Ho già detto che questa non è l’unica falsità contenuta nel libro e che chiederò alla competente Autorità giudiziaria di accertare la falsità di tutte”, conclude Cascini .

Poi è la volta del “capo”, l’ex-procuratore di Roma, il potentissimo Pignatone. Che Palamara tira in ballo in una cena assieme a lui ed all’ex-ministro dello Sport, l’ex-deputato renziano Luca Lotti. A cena dove? A casa dell’ex-membro del Csm

Balducci.

Palamara la ricostruisce così la faccenda.

“Perché io entro nella vicenda Consip? Per quale motivo? Perché nel 2016 i rapporti fra la procura di Roma e la procura di Napoli sono sempre stati non semplici, soprattutto sotto il profilo del riparto delle competenze”.

“Sapete benissimo quali erano i miei rapporti col procuratore Pignatone all’epoca, rapporti molto stretti, confidenziali, oltre che chiaramente istituzionali. Succede un fatto specifico nel dicembre del 2016”. Quale?

“All’esito di una riunione la procura di Napoli decide di trasmettere delle carte che riguardano anche l’onorevole Lotti alla procura di Roma. Ne parlo – rivela Palamara -,col procuratore Pignatone anche perché mi era capitato nei mesi precedenti più volte di essere a cena col procuratore Pignatone e con l’onorevole Lotti, e quindi si poneva il problema, già prima delle carte, di capire e di comprendere quelli che sarebbero stati gli ulteriori sviluppi di questa situazione”.

Subito dopo Palamara, sempre a proposito delle cene cui ha appena accennato, aggiunge: “Prima dell’inizio dell’indagine, assolutamente sì, almeno un paio di volte, 2 o 3 volte minimo, di questo c’è, come dire, il luogo presso cui facevamo le cene è un luogo, come dire, conosciuto a Roma, un’abitazione privata di un avvocato penalista, quindi da questo punto di vista i fatti sono facilmente dimostrabili”.

Infine, alla domanda su chi fosse l’avvocato, Palamara risponde: “La professoressa Balducci, membro del Csm”.

Su Pignatone, Palamara racconta anche un’altra vicenda spinosa.

E cioè l’intercettazione fra l’ex-vicepresidente del Csm, Legnini e Pomicino. Di cui, appunto, Palamara parlò con Pignatone.

Eccolo dunque il racconto di Palamara che esordisce così: “A me dispiace che il dottor Cascini si sia risentito. Però non è stata colpa mia se il trojan ha registrato una conversazione fra me e Legnini. E tutto quello che ho raccontato lo racconto sulla base di due elementi: atti giudiziari, colloquio tra me e Legnini, e la trascrizione di un’intercettazione che è nel fascicolo del processo di Perugia”, ricostruisce l’ex-presidente dell’Anm nel corso della diretta sui canali Facebook e YouTube del Fatto Quotidiano.

È la premessa necessaria prima di parlare dell’intercettazione fra Legnini e Pomicino.

“Quando questa intercettazione è uscita fuori – spiega Palamara -, ho uno sfogo con Legnini, che è stato vicepresidente del Csm. E nel mio libro racconto anche come è diventato vicepresidente del Csm”.

“Lo avverto – ricorda Palamara – che c’è qualcosa che non va. E quel qualcosa che non va è molto semplice. E collocabile al 21 maggio del 2019, allorquando un giornalista del Corriere della Sera viene nel mio ufficio e mi dice ‘sono arrivate le carte di Perugia che ti riguardano’. Da quel momento, ovviamente – ammette Palamara – la mia vita cambia perché conosco le regole del gioco, conosco gli accertamenti e quindi so quello che poi da lì a breve accadrà”.

“Anche perché – aggiunge l’ex-pm romano – questa confidenza, rivelazione, del giornalista del Corriere della Sera, impatta un giorno molto importante che è il 23 maggio del 2019. Cioè il giorno in cui viene votato in Quinta Commissione il procuratore di Roma”.

Nei giorni successivi, prosegue Palamara, “mi trovavo fra due fuochi: da un lato l’aspirazione a poter diventare procuratore aggiunto di Roma e, dall’altra, il fatto che io sapevo che la storia di Perugia, che viene portata all’esterno per la prima volta il 27 settembre del 2018 dal Fatto Quotidiano, in un modo o nell’altro mi verrà tirata fuori, perché anche queste sono regole del gioco all’interno del Csm”.

Ecco, a questo punto, il momento topico.

“Ho uno sfogo con Legnini al quale dico: ‘Giovanni, se però poi succede qualcosa che non deve succedere, ovverosia, per essere chiari, la mia eliminazione per via giudiziaria, guarda che io racconto tutto. E racconto anche la storia del disciplinare, di quel giorno in cui Cascini mi fece quella rivelazione che io ti vengo a consegnare’…”.

Ora “ritorniamo indietro – evidenzia Palamara -, e precisamente al luglio del 2018. Accade che il 4 luglio del 2018, cioè il giorno prima di una delle udienze del disciplinare a Woodcock, ebbi modo di parlare con Cascini, non con delle chat, ci fu un incontro”.

“In quell’occasione – ricorda Palamara – c’era molta tensione anche all’interno dell’ufficio di Roma”.

E “che cosa mi dice Cascini? Mi dice: ‘guarda che voi questo processo non lo potete fare perché c’è un’intercettazione tra Legnini e Pomicino’, questo dice, in virtù della quale comunque il processo non potrà essere continuato. Finita questa conversazione, lo ricordo come se fosse oggi, vado da Legnini e lo avviso della notizia che avevo avuto, perché per me poteva essere pure non vera”.

E Legnini, sottolinea Palamara, “sbianca, si preoccupa e mi dice ‘sì, è vero, ho parlato con Pomicino e ho espresso dei giudizi negativi su Woodcock”.

E così, prosegue Palamara, “nel pomeriggio, e pure su questo vi è traccia sul mio telefonino, contatto l’allora procuratore di Roma e lo raggiungo per chiedergli conferma se è vero o meno dell’esistenza di questa intercettazione. Il procuratore di Roma mi dice ‘guarda che nel famoso riparto di competenze tra Napoli e Roma, quando il fascicolo che riguardava Romeo venne trasmesso a Roma, ci fu una trasmissione di atti che comprendeva delle intercettazioni che abbiamo noi ma che sono rimaste anche a Napoli’. Questa fu la risposta che mi diede. E fu la risposta che riconsegnai a Legnini”.

Si trattava, spiega Palamara, “di un colloquio tra Legnini e Pomicino all’esito del quale Pomicino è andato nell’ufficio dell’intercettato, che era l’imprenditore Alfredo Romeo, e gli aveva rivelato il contenuto del colloquio che aveva avuto con Legnini”.

Questo, aggiunge Palamara, “non c’è negli atti, c’è traccia delle mie telefonate con Pignatone, è il 4 luglio del 2018, e dei miei messaggi con Palazzi, il 4 luglio del 2018, e del fatto che il dottor Pignatone chiamò subito Legnini per relazionarlo di quanto accaduto. Questo è quello che racconto io specificando il perché il 28 maggio del 2019 parlo con Legnini in quel modo”.

E’ “una versione documentata sugli atti – avverte Palamara -, perché altrimenti significherebbe vanificare gli effetti del Trojan per tutti, e non è la mia version, è la versione di come sono andate le cose. E il 5 luglio c’è il procedimento. Il procedimento non viene effettuato, si mette in moto un meccanismo interno rispetto al quale dobbiamo stabilire la strategia da seguire, che coinvolge anche il procuratore Fuzio”.

“L’11 luglio – ricostruisce ancora Palamara – c’è un incontro tra Legnini e Melillo, anche questo è documentato agli atti perché Melillo ha la scorta e quindi può tranquillamente vedere e valutare la situazione. E stato detto che era normale che il procedimento disciplinare a Woodstock venisse rinviato venisse rinviato alla consigliatura successiva, benissimo”, ma “noi contestualmente facevamo un altro procedimento”, e “andate a vedere se quel procedimento è stato rinviato o no, e iniziò più o meno nello stesso periodo”.

Lo “dicono i fatti, le carte, non lo dico io – conclude Palamara -, penso che chi sta al Csm deve assumersi la responsabilità di dire la verità, non di accusare altri di falso”.

“Il libro di Palamara e le sue ultime uscite pubbliche squarciano un velo sul potere giudiziario reso opaco dalla degenerazione delle correnti, a discapito di tanti giudici e pubblici ministeri impegnati a svolgere il loro servizio con abnegazione”, osserva Giulia Bongiorno, senatrice e responsabile del Dipartimento Giustizia della Lega.

“Una ricerca – aggiunge Bongiorno – diffusa di collateralismo alla politica ha inquinato singole inchieste, ma più in generale il rapporto tra poteri dello Stato e dunque le regole dell’agire democratico”.

“Il prossimo governo in tema di giustizia non potrà mostrare timidezza, ma dovrà essere in grado di stroncare le distorsioni del correntismo. Senza questo punto di partenza fondamentale – conclude l’ex ministro leghista – ogni tentativo di rilancio della giustizia sarebbe vano”.

E intanto l’ex Procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara annuncia querele in sede civile contro Palamara: “Tutte falsità e intendo far emergere la verità attraverso un’azione giudiziaria civile per risarcimento danni”, avverte Ferrara.

 

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