Pd, è già guerra per bande. Gori: «Conte federatore è segnale di subalternità ai 5Stelle»
Giuseppe Conte è tornato e lotta insieme a noi. Dove per “noi” s’intende il Pd più il M5s, entrambi immersi in una crisi spaventosa che entrambi s’illudono di risolvere richiamando in servizio l’ex-premier quale federatore dell’alleanza. Pura alchimia, di quelle che piacciono tanto a Nicola Zingaretti o a Goffredo Bettini, suo modesto Rasputin. Ma che in compenso trova la decisa opposizione di un estremista del realismo politico come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. «Mi sembra una manifestazione di debolezza», dice dai microfoni di Radio 24.
Gori ostile all’accordo con il M5S
«Nel 2023 – prosegue il primo cittadino – i 5Stelle non saranno più primo partito. Quindi attribuire da ora a Conte, loro esponente, il ruolo del leader mi sembra un segno di subalternità. I leader nel Pd li scelgono gli elettori con le primarie, e il Pd dovrà essere il primo partito di qualsiasi alleanza si componga». Le parole di Gori rappresentano con ogni probabilità il preludio di quello che sarà il clima del Pd in assenza di un vero congresso. Una vera guerra per bande, resa ancor drammatica dalla perdita di peso nel governo Draghi e, ancor di più, dalla drastica riduzione delle poltrone parlamentari. Una cura dimagrante che per un partito tradizionalmente diviso in correnti potrebbe persino rivelarsi esiziale. Lo stesso Bettini ha ammesso l’esistenza di un «logorio interno».
Renzi pronto a sfruttare le spaccature tra i dem
La sortita di Gori sembra anticipare la discussione interna. E l’eventuale ruolo di Giuseppi promette di esserne centrale. Sul punto, il sindaco di Bergamo non fa sconti. «Conte – ha spiegato – va ringraziato per il suo servizio. Ma bisogna ricordare la sua storia politica, che l’ha visto passare dall’alleanza con la Lega quando si definiva orgogliosamente populista e sovranista, ad una alleanza di diverso segno». La ricetta suggerita da Gori al Pd va nella direzione opposta: «Sposare l’agenda democratica e riformista di Mario Draghi, senza preoccuparsi dell’asse con M5s e Leu». Da lontano Matteo Renzi sorride. E ringrazia.