Scempio in lockdown, infermiere rubava mascherine e gel in cambio di uno sconto sulla droga
Scempio in lockdown: da indagine e fermi, viene fuori che a Milano un infermiere rubava mascherine e gel in cambio di uno sconto sulla droga dal pusher. Proprio così: mascherine e gel disinfettante in cambio di cocaina soprattutto. Un affare criminale di ingente portata, basato sugli accordi tra gruppi di pusher stranieri e non solo e infermieri di ospedali milanesi. Una partita di giro tra soldi, droga e dpi, che le forze dell’ordine attive su più fronti e in più quadranti della città, i carabinieri hanno smantellato nelle ultime ore. E dopo lunghe e accurate indagini partite in lockdown. Non a caso, il nome dell’operazione antidroga della polizia di Stato che nella giornata di ieri ha visto finire in carcere ben 18 persone – mentre altre 6 sono state poste agli arresti domiciliari – è proprio lockdown: parola chiave dei nostri tempi. E simbolo di sacrificio e misfatti orditi e compiuti all’ombra della pandemia.
Infermiere rubava mascherine e gel in cambio di droga
Dunque, Operazione lockdown: perché le indagini degli agenti sono cominciate proprio nello stesso periodo in cui è scoppiata la pandemia di Covid. Un flagello che non è bastato a pusher e trafficanti per limitare danni e arginare gli effetti collaterali. I quali, struttura in un’organizzazione articolata a orologeria, hanno messo su un business remunerativo che gli ha permesso di controllare il mercato dello spaccio nella periferia nord di Milano. Al cui interno ad agire erano soprattutto tre gruppi criminali distinti ma tra loro ben collegati.
Il clan degli “albanesi” forniva hashish, marijuana e cocaina
E come spiega Libero in un accurato servizio di approfondimento della vicenda: «Quelli di Cormano e di Bruzzano, che si occupavano direttamente della vendita di stupefacente in strada. E quello “degli albanesi” che, invece, riforniva entrambi di hashish, marijuana e, soprattutto, cocaina. Il sistema era “classico” – prosegue la testata diretta da Feltri –: una figura apicale a gestire lo smercio tramite i suoi “cavallini”». Alfieri del malaffare che metteva, furbescamente, «nelle tasche degli spacciatori poche dosi. Talvolta una solamente. Così da evitare il carcere in caso di arresto in flagranza».
Le consegne anche ad alcuni infermieri di ospedali milanesi
In base a quanto ricostruito dalle forze dell’ordine al lavoro sul caso. E puntualmente riferito da Libero, il boss del gruppo di Cormano, Euprepio Carbone, meglio noto con il soprannome di “Genny Savastano” (il personaggio della serie tv Gomorra ndr), incaricava dello spaccio i suoi uomini. “Orco” e “Micky”. I due pusher, però, finiscono in cella. Così Carbone si assume l’onere di gestire in prima persona anche la consegna delle dosi ai vari clienti. Tanto che la polizia contesta al boss oltre 150 episodi di cessioni. Tra cui, anche alcune consegnate effettuate ad alcuni infermieri in forza a nosocomi milanesi. «Uno di loro – scrive Libero in particolare – a fine febbraio 2020, in cambio di un sostanzioso sconto sulla droga acquistata, offre a Carbone mascherine chirurgiche e gel igienizzante». Ad inchiodare spacciatore e clienti, alcune intercettazioni. Che recitano: «Queste sono le mascherine, quelle chirurgiche e le Fp3. Questo è disinfettante chirurgico e costa un botto di soldi».
Un giro d’affari che potrebbe coinvolgere le cosche ‘ndranghetiste, attive in Lombardia
Come noto, durante il lockdown, i dispositivi di sicurezza erano merce rara, reperibile anche a costo di sovrapprezzi arbitrari. Ma Carbone, si desume dall’inchiesta, non aveva i problemi dei più. tanto che, in un’altra intercettazione, si rivolge alla moglie dicendo: «Stasera porto tutto a casa». Un giro di affari rodato, quello dello scambio tra mascherine, gel e droga, che se a Cormano poteva contare su Genny Savastano, a Bruzzano puntava su “Collo”, “Cloud” e “Lo Zar”. Quelli che, registra sempre Libero, mandavano avanti gli affari e mantenevano buoni rapporti con «Koly, trait d’union nel mondo della droga con i sei trafficanti albanesi». Un giro d’affari sostanzioso e lautamente remunerativo che, tra denaro riciclato, spaccio e reinvestimenti in gioielli, auto, persino un maneggio a Limbiate con due cavalli, alimentano i sospetti degli inquirenti. I quali sono convinti che «i tre gruppi criminali avevano intrecciato relazioni anche con esponenti delle cosche ‘ndranghetiste, attive in Lombardia».