Zingaretti esce con le ossa rotta dalla crisi: il ciclone Draghi divide in due il Pd
Nicola Zingaretti ora è accerchiato. Si è impegnato inutilmente per tentare di salvare Giuseppe Conte per tornare a un terzo incarico. Ma così facendo ha perso se stesso, la faccia sua e del partito. Ora per lui, con Draghi primo ministro, si apre la partita più difficile. «In cui si gioca la sua leadership per tenere il partito unito», dicono i dirigenti più vicini a lui. Lo leggiamo su un retroscena de La Stampa. Le parole sono una cosa («da domani siamo pronti a garantire il bene del Paese»); ma dall’altra sa benissimo che -tanto per cambiare- “il Pd è diviso in due”. “Per i dem su tratta di una capitolazione”.
La partita impossibile di Zingaretti
Secondo il quotidiano diretto da Giannini, “Gli ex renziani di stanza in Parlamento sono contenti di questo epilogo: «Buon lavoro a Draghi», dice Andrea Marcucci, capogruppo al Senato. I commenti si susseguono: «Bisogna costituire una maggioranza solida sull’iniziativa presidenziale», dice Stefano Ceccanti, costituzionalista vicino a Mattarella. “Ma gli altri della sinistra dem – specie quelli fuori dalle Camere – non sono affatto contenti. E il segretario sta in mezzo. Già nelle dichiarazioni di queste ore mettono i puntini sulle i. Sì a un esecutivo politico, ma non a uno tecnico”
Pd, Orlando: “Draghi? Non risolutivo”
Sconsolato dell’esito fallito della trattativa-Fico è Andrea Orlando, “che vede sfumare sotto gli occhi, in diretta dalla Berlinguer su Rai tre, l’ultima speranza di potersi giocare con Zingaretti l’arma del voto contro Renzi. Un’arma spuntata certo, ma che mezzo Pd – quello fuori dal Parlamento – voleva provare a giocarsi” . Ora quindi, la sinistra di Zingaretti, Orlando e Bettini non possono far altro che dire “bravo Draghi”: «Draghi? Una grande personalità è un punto di partenza importante – ammette Orlando – ma non risolutivo, se non c’è una maggioranza che può accompagnare un percorso politico». “Non basta dire è arrivato Draghi, viva Draghi. A Draghi occorre dargli una mano”,.
Un avvertimento non di poco conto. Un modo per non consegnarsi mani e piedi all’ex numero uno della Bce. “E per tenere aperta – leggiamo -l’opzione voto. Dice un dirigente Pd captato dal quotidiano di Torino: «non sarà facile far partire questo governo». Dalle parti del segretario c’è chi si consola così: «un governo Draghi avrebbe lo stesso profilo del governo Ciampi del ’93, non sarebbe come quello di Monti». Per affermare che in un contesto allargato a tutte le forze politiche, “Renzi sarebbe ininfluente”. Per il momento è l’unica consolazione contro il rottamatore-nemico che ha mandato in fumo il governo giallorosso.
Zingaretti ha il partito diviso in due
“Per i dem di questo si tratta, una capitolazione”, si legge: “alla notizia di Draghi, tutti restano basiti per la velocità di esecuzione del Colle, tranne uno forse, Dario Franceschini. Che da giorni faceva capire al segretario quanto potesse essere utile tentare forse anche la carta di un governo con una maggioranza allargata a Forza Italia”. Ora, il governo a guida Draghi, che potrebbe aprirsi a un sostegno (interno o esterno) di Salvini e Meloni, sta schiantando il Pd. Il partito su tale eventualità si dividerà. Orlando già l’ha detto a “Cartabianca” (“Noi mai con i sovranisti). Zingaretti è scisso sul da farsi: avendo declinato a più non posso il termine “responsabilità”, non può disattendere l’appello del capo dello Stato per dar vita ad un governo istituzionale. D’altro lato, se si verificasse la prospettiva di governare con Berlusconi e magari anche Salvini, le cose per il partito potrebbero mettersi male.
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