A Sanremo una lezione all’ipocrisia del buonismo e alle femministe. Beatrice Venezi, chapeau

7 Mar 2021 13:01 - di Hoara Borselli
Beatrice Venezi

È calato il sipario sul palco più osservato d’Italia nel momento più duro per gli italiani. Nelle sue luci e nelle sue ombre l’Ariston lascia argomenti di dibattito, polemiche, canzoni. In questo tempo surreale si è aperta una finestra dalla quale provare a scorgere qualche passo di normalità, dove l’arena sono le parole, non il virus. Dove si sono riflesse quelle frasi che possono diventare un veicolo potente, in grado di far emergere visioni e contrapposizioni. Il caso più eclatante è stato lo schiaffo morale di Beatrice Venezi, giovane direttore d’orchestra, finita al centro di un enorme dibattito diventato anche politico per via di una sola frase: «Il mio mestiere ha un nome preciso, si chiama direttore d’orchestra». In poche parole e con il sorriso, Beatrice Venezi ha voltato le spalle a quel femminismo integralista che vuole relegare ad un gioco di vocali quella distinzione inutile e personalmente priva di senso fra ruoli professionali esercitati da uomo o donna.

Lo schiaffo di Beatrice Venezi

Chiamatemi “ Direttore d’orchestra “, non direttrice. Poche parole che hanno acceso il dibattito tra le femministe più accese, tra cui la Boldrini che sull’onda della sua ultima inutile crociata contro l’utilizzo del termine donna sulla Treccani (considerato sessista) ha rimarcato l’importanza delle parole della Venezi “Direttrice è bellissimo, rifletta sui sacrifici delle donne”. “Più che una scelta individuale della direttrice d’orchestra Venezi, è la scelta grammaticale a prevalere e quella italiana ci dice che esiste un genere femminile e un genere maschile. A seconda di chi riveste il ruolo si fa la declinazione. Chi rifiuta questo lo fa per motivi culturali”. Si tratterebbe per la Boldrini , che si professa anche sociologa a tempo perso e ne deve avere molto di tempo in cui smarrirsi, di un problema serio che dimostrerebbe poca autostima.

La reazione scomposta della Boldrini

L’ex presidente della Camera attacca ancora la stessa musicista invitandola a rileggere cosa dice l’Accademia della Crusca, la più alta autorità linguistica del nostro Paese. “Se il femminile viene nascosto, si nascondono tanti sacrifici e sforzi fatti”. Occasione sprecata per la Boldrini di tacere la sua acredine femminista perché viene subito smontata dal professore Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca: “Ognuno ha il diritto di essere chiamato come vuole nell’ambito della pluralità degli usi esistenti nella lingua italiana: scegliendo la definizione ‘direttore’ Beatrice Venezi ha adoperato un maschile cosiddetto inclusivo o non marcato”. Una soluzione tradizionale, ben nota alla lingua italiana e che viene considerata tuttavia come una bestia nera da taluni, perché a loro giudizio non riconoscono o occultano gli avanzamenti del dibattito di genere.

L’importanza del talento

Sul piano propriamente lessicale, ricorda Marazzini, Beatrice Venezi aveva tre possibilità per definirsi. “Una più tradizionale (direttore) che però taluni accusano di essere ideologicamente arretrata; una declinata al femminile (direttrice) ed una più innovativa (direttora). Ognuno ha quindi il diritto di fare la propria scelta, ma non può pretendere di imporla agli altri in maniera assoluta, né può pretendere che lo faccia qualche istituzione”. In un momento storico in cui una certa parte politica dimostra puntualmente come priorità quella della parità di genere legata a un esasperato politicamente corretto che scivola nella superficialità delle parole più che sul solo contenuto , Beatrice Venezi in questo senso riafferma l’importanza del merito legata al talento non alla parola.

Anche la Lucarelli si unisce al coro

‘Ritengo che non ci sia assolutamente necessità di andare a sottolineare il genere di un professionista. Un professionista deve essere valutato per il merito, il talento e la preparazione. C’è un significato culturale peculiare rispetto alle parole direttrice e maestra che indicano, almeno nel nostro Paese, un altro tipo di professione. Il declinare una professione al femminile non rappresenta nessun passo avanti nell’uguaglianza di genere né nel pari trattamento di professionisti di genere diverso’. Anche Selvaggia Lucarelli si è unita al coro di dissenso delle femministe contro Beatrice Venezi lanciando un’anatema retrogrado “Quello che penso è che Beatrice Venezi dovrebbe rivendicare con fierezza il fatto di essere una direttrice visto che anni fa, in quanto donna, avrebbe potuto al massimo pulire gli spartiti con un panno caldo. Sono le donne che trattano il femminismo come un qualcosa di ideologico, anziché di necessario”.

Beatrice Venezi, una donna vera

È il momento di dire basta. Beatrice Venezi è una donna come milioni di altre donne che non hanno bisogno di sottolineare la differenza di genere per sentirsi diverse o migliori. Una lezione morale alle femministe contemporanee molto più forte e libera di qualsiasi declinazione linguistica dove al contrario conta è il talento e la preparazione e soprattutto il ruolo. Beatrice Venezi non sarebbe diventata il più giovane direttore senza la determinazione e il coraggio mostrati sul palco, dove ha puntato i piedi consapevole che le sue parole avrebbero scatenato l’ira delle femministe dure e pure. Come dimostra la stessa musicista,le lotte sono altre. I nomi al femminile non risolvono nulla. Se l’obiettivo è avere pari opportunità che senso ha sottolineare una differenza di genere, È un qualcosa che divide invece che unire. Chiamatemi “ Direttore d’orchestra “, non direttrice.
Questa sono e questo rivendico. È stato il discorso più femminista che potesse fare. Chapeau

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