Casamonica, nuovo processo in vista per il clan che si sente padrone di Roma: rischiano in 26
Si sentono i padroni di Roma e gli esponenti del clan Casamonica non hanno nessuna remora a dirlo sfacciatamente mentre, intercettati, parlano fra di loro.
Dettano legge nella zona est della Capitale, nel quadrante Romanina-Anagnina-Morena. Vivono in orribili villoni con piscine da neo ricchi. E ora per 26 di loro sui quali la Procura di Roma ha chiuso le indagini si profila il processo. L’ennesimo.
Le accuse formulate dai pm romani vanno dall’associazione di stampo mafioso all’estorsione, usura e intestazione fittizia di beni.
Proprio lo scorso giugno, nell’ambito dell’inchiesta, condotta dal procuratore di Roma Michele Prestipino e dal pm Edoardo De Santis, la polizia aveva messo le manette a una ventina di persone del clan Casamonica e sequestrato beni per 20 milioni di euro .
Spiccava nel provvedimento di sequestro firmato dai magistrati capitolini anche una villa con piscina in via Roccabernarda, di Guerino Casamonica. Un nome che dice molte cose.
Nell’inchiesta emergono, fra gli altri, i nomi di Gelsomina Di Silvio, detta ‘Silvana’ e ritenuta, dagli inquirenti, organizzatrice, lo stesso Guerrino Casamonica e la moglie Sonia, Ferruccio e Giuseppe Casamonica.
Agli indagati viene contestato “di avere preso parte – si legge nel capo di imputazione – all’associazione mafiosa denominata ‘clan Casamonica’ e in particolare all’articolazione della zona Romanina-Anagnina-Morena; commettere delitti contro il patrimonio, contro l’incolumità individuale della vita; affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso costanti e sistematici atti di sopraffazione e ritorsione; conseguire vantaggi patrimoniali dalle attività economiche; e infine procurarsi ingiuste utilità”.
Nell’ordinanza dello scorso giugno, che aveva portato ad una ventina di arresti, era riportata una frase contenuta in un’intercettazione in cui Guido Casamonica, figlio di Ferruccio, si lamentava dei provvedimenti giudiziari emessi nei confronti di altri membri del clan, sostenendo che l’annientamento dell’organizzazione da parte dei magistrati fosse finalizzata a consentire alle organizzazioni rivali forti di mettere le mani su Roma.
“Perché i Casamonica proteggono Roma, invece hanno stufato, i napoletani vonno entra’, la camorra vo’ entrà a Roma e i calabresi vonno entra’ a Roma, je da’ fastidio perché noi proteggemo Roma’ (…) devono far entrare le organizzazioni forti a Roma ecco perché ce vonno distrugge a noi”.