Dall’Inps le lettere sul ricalcolo degli assegni delle pensioni e sulle restituzioni. Ecco che cosa fare
L’Inps con le lettere sul ricalcolo delle pensioni mette le mani in tasca agli anziani e li terrorizza. Gli ultimi casi di lettere, ricalcoli e prelievi coatti gettano nel panico i pensionati. Dunque, l’Inps torna all’attacco: mentre il Fisco aggiornato alla pandemia prova a frenare, l’ente previdenziale terrorizza gli italiani con l’invio di inquietanti lettere con le quali richiede la restituzione di ingenti somme ai pensionati. Correzioni gravose dovute a “errori di calcolo” sugli assegni da riformulare in base alle norme vigenti. Alla voce ricostituzione della pensione, infatti, riportata sul sito dell’Inps, leggiamo: «La ricostituzione della pensione consente la rideterminazione dell’importo di pensione, entro termini stabiliti da specifiche disposizioni di legge, per effetto di riconoscimento di contribuzione (figurativa, obbligatoria, da riscatto) versata o maturata in data anteriore a quella di decorrenza della pensione medesima».
Inps, con le lettere sul ricalcolo delle pensioni mette le mani in tasca agli anziani
Le comunicazioni dell’Inps gettano nel panico gli anziani e animano una vicenda denunciata da Il Giornale e rilanciata da Libero, e argomentata sulla base di due casi specifici in particolare. Due lettere firmate Inps che chiedevano indietro ai malcapitati importi significativi che vanno dai 15.000 ai 30.000 euro. Casi emblematici di anziani stritolati da una macchina infernale di ricalcoli che si traducono in richieste a cui i destinatari delle scioccanti lettere non possono ottemperare. E più la domanda è pesante, più mettere mano al portafoglio, svuotato dalla crisi, inficia la possibilità di restituire i soldi all’Inps. E il panico monta.
Inps, lettere, ricalcolo e prelievi coatti sugli assegni: pensionati nel panico
Per spiegare meglio quello che sta accadendo già da un po’, occorre concretizzare la questione ed entrare nel merito della testimonianza riportata da Il Giornale dell’avvocato Celeste Collovati dello studio Dirittissimo. Il quale spiega: «Uno degli ultimi casi che abbiamo seguito ha riguardato la richiesta di restituzione per importi elevati di una pensionata i cui beni sono amministrati dalla figlia. Questa signora dopo aver percepito la pensione, ormai trascorsi diversi anni, non ha mai variato il suo reddito, non avendo più lavorato né percepito alcunché. La richiesta di annullamento della somma di ben 3o.000 euro è stata subito inoltrata al Comitato Provinciale della sede competente, tramite i legali. Ed è stata accolta dall’Ente Competente nei tempi di legge».
La pensionata che si è vista arrivare l’assegno decurtato di 200 euro
Il secondo caso, invece, riguarda una vicenda diversa, ossia la revisione (e conseguente “correzione”) relativa a una prestazione assistenziale. Qui la richiesta di restituzione ammontava a 15mila euro e prevedeva il prelievo diretto sul compenso dell’assegno pensionistico mensile. E qui si delinea un altro drammatico risvolto: con l’Inps che, dopo aver spedito la comunicazione dell’aggiornamento su calcoli, attribuzione e restituzione, passa direttamente a prelevare il dovuto. Che, nel caso in oggetto, ha significato per la pensionata destinataria della lettera choc, la decurtazione automatica di circa di circa 200 euro. Fortunatamente, però, come spiega nel suo ampio ed esaustivo servizio Il Giornale, la persona coinvolta ha fatto ricorso e lo ha vinto. Ottenendo sia l’annullamento del debito, che la restituzione di quanto già sottratto dall’assegno co, prelievo “coatto”.
Insidie, trappole e paradossi; il prelievo sull’assegno di una prestazione assistenziale
Come spiega infatti l’avvocato Collovati (tuttopensioni@gmail.com) al quotidiano diretto da Sallusti, «il ricorso portato avanti ha avuto esito positivo. “Un’indennità di accompagnamento a parere dell’Inps non era legittima dopo che era stata erogata per ben due anni. Nonostante la signora fosse totalmente priva di capacità motoria e non autosufficiente. E nonostante la percentuale di invalidità fosse al 100%, come da verbale redatto dall’Inps stesso. Il paradosso è che la prestazione assistenziale è stata confermata proprio dall’Ente stesso!».
Ecco come ci si deve comportare
Il punto è che queste “lettere-choc” dell’Inps sono sempre più frequenti. E purtroppo, nella maggior parte dei casi i pensionati che non hanno la capacità o la possibilità di presentare ricorso, pagano e fanno ammenda. Ma è possibile difendersi preventivamente? O meglio, la domanda che dobbiamo porci è: cosa dobbiamo fare quando l’Inps sostiene di averci pagato la pensione in maniera errata? Insomma, come replicare alle lettere sui ricalcoli di “accrediti” a detta dell’Ente non dovuti? Innanzitutto, come ricorda Il Giornale in conclusione, «prima di pagare meglio controllare le carte e impugnare la decisione dell’istituto di previdenza». E consultare la procedura per il recupero, che è regolata dall’articolo 52 Legge 88/1989 e dall’articolo 13 Legge 412/1991. E, infine, tenere conto che sulla vexata quaestio è intervenuta anche la Cassazione. La Suprema Corta, infatti, in un verdetto del 2017 ha sancito che: «L’ente erogatore, l’Inps, può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura. Ma non può recuperare le somme già corrisposte, a meno che l’indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell’interessato». Chiaro ed esaustivo.