Le foto incastrano le Ong: i volontari conoscevano le violenze degli scafisti. E le coprivano
Le intercettazioni, le testimonianze e, soprattutto, le foto, che immortalano i momenti di brutalità contro i migranti. Nel fascicolo dell’inchiesta della Procura di Trapani sulle connivenze tra equipaggi delle Ong e trafficanti di uomini ci sono anche gli scatti rubati da un agente infiltrato tra i volontari. E non lasciano spazio a dubbi sulle ripetute omertà con cui i “buoni” hanno coperto i criminali. Non a caso sono considerati centrali nell’inchiesta, che coinvolge le navi messe in mare sotto le insegne di Jugend Rettet, Save the children e Medici Senza Frontiere.
Le foto che incastrano le Ong
In una foto è fermata l’immagine di uno scafista che colpisce i migranti con una cinghia, sotto gli occhi del personale della Vos Hestia di Save the children. In un’altra foto si vede un trafficante con un tubo di ferro in mano scagliarsi contro un ragazzo che si copre il viso. Lo stesso trafficante poi viene fotografato a bordo della nave della Ong e, infine, libero di girare nel porto di Reggio Calabria. E, ancora, in altre foto si vedono gli scafisti smontare il motore di un gommone; in un’altra annunciare dalla loro imbarcazione al personale della nave Ong l’arrivo di migranti; ce n’è perfino una in cui sono gli stessi volontari della Iuventa della tedesca Jugend Rettet a occuparsi di riportare verso la Libia i barchini.
Fino a che punto basta dire “salvano vite”?
Insomma, le foto sembrano confermare non solo le connivenze ipotizzate dalle inchieste, ma in alcuni casi vere e proprie collaborazioni tra Ong e trafficanti. In quella logica di “taxi del mare” più volte denunciata dalla destra e sempre rifiutata dalla sinistra al grido di “salvano vite!”. Lo stesso rilanciato da quei capitani delle Ong che oggi si scopre essere stati del tutto indifferenti alla dignità di quelle vite. Facendosi persino complici dei meccanismi e dei criminali che le mettevano a rischio.
Il capitano che diceva: «Il mio ruolo non è fare la spia»
In particolare, fra i casi all’attenzione della Procura di Trapani, che lavora sull’ipotesi di favoreggiamento e falso, c’è quello del comandante Marco Amato, in forze alla Vos Hestia di Save The Childern, che fin dalle prime battute dell’inchiesta si è trincerata dietro la correttezza del proprio operato. Amato era intercettato e dalle sue parole registrate emerge non solo il rifiuto di aiutare le indagini, perché «a bordo ho altri ruoli, non quello di fare la spia», ma anche l’ordine ai collaboratori di fare altrettanto. Amato in una conversazione riportata da La Verità, indica come «lo scemo» un marinaio che aveva osato indicare alla polizia due scafisti, promettendo di mandarlo «a fare in c…» se non avesse chiarito quali erano le sue intenzioni.
Le omertà ricostruite negli atti dell’inchiesta
È stata poi Repubblica, la prima a divulgare il contenuto delle foto incriminanti, a riportare un racconto dell’agente sottocopertura tra i volontari delle Ong. Nel resoconto agli atti dell’inchiesta l’agente riferisce che nel porto di Reggio Calabria Amato gli si avvicinò indicandogli un uomo che aveva «picchiato tre migranti». Anche in quella occasione, però, non vi fu alcuna denuncia. «È evidente che Amato fosse a conoscenza di quanto commesso in pregiudizio dei migranti. Ma nessuna segnalazione è stata fatta alle autorità di polizia presenti allo sbarco, né sui giornali di bordo», è il commento che poi la polizia ha reso alla Procura. Nota sottoscritta anche dalla Guardia Costiera.
I Pm: «Operavano a vantaggio delle Ong, non dei migranti»
Tutti elementi che hanno portato i pm titolari dell’inchiesta di Trapani (che si aggiunge alle altre in corso), Brunella Sardoni e Giulia Mucaria, a sostenere che queste missioni più che nell’interesse dei migranti erano «nell’interesse e a vantaggio delle Ong, che così ottenevano maggiore visibilità pubblica e mediatica con conseguente incremento della partecipazione – anche economica – dei propri sostenitori». Un obiettivo per il quale farsi “taxi del mare” era estremamente funzionale, tanto da arrivare a coprire le violenze degli scafisti. Nell’indifferenza dello stesso Viminale, che per stessa ammissione del ministro Luciana Lamorgese nel corso del processo contro Matteo Salvini, sapeva del meccanismo di attesa dei migranti.