“Non diffamò Benigni e la moglie”. Assolto l’architetto che parlò di abusi edilizi nella villa dell’attore
Il Tribunale di Roma ha assolto l’architetto Nicolino Di Battista, imputato per calunnia nei confronti dell’attore Roberto Benigni e della moglie Nicoletta Braschi. La coppia, nel 2006 aveva dato l’incarico di svolgere lavori di ristrutturazione nella loro abitazione romana, a Villa Appia delle Sirene. Al tribunale civile, nel 2013, Di Battista aveva poi accusato la moglie del premio Oscar e «i funzionari comunali Luca Odevaine e Massimo Miglio di avere concorso in condotte illecite idonee ad integrare il reato di abuso edilizio». Odevaine era all’epoca vicecapo di Gabinetto del sindaco Veltroni. Non era ancora stato coinvolto in Mafia Capitale.
Benigni e la moglie avevano detto: “Mai chiesti favori illeciti”
Il pm aveva chiesto per Di Battista una condanna a poco più di un anno di reclusione ma il giudice ha assolto l’imputato con la formula della vecchia insufficienza di prove. «Io sono un amico di vecchia data di Veltroni e mai mi sarei sognato di chiedergli un favore, tanto meno illecito» aveva dichiarato Benigni, sentito in aula lo scorso 23 settembre.
Nicoletta Braschi aveva precisato. «Odevaine e Miglio non sono mai venuti nella villa per il cantiere oggetto di processo. Sono venuti nel 2006, una prima volta per una denuncia di abusivismo fatta da mio marito contro il nostro vicino. E una seconda volta per un muro di confine che minacciava di crollare».
La vicenda dei lavori nella Villa Appia
La vicenda risale al luglio del 2013 quando Di Battista «nell’ambito di un procedimento davanti al Tribunale Civile – è scritto nel capo di imputazione – su ricorso della Braschi per l’esecuzione di accertamenti tecnici preventivi sull’immobile di sua proprietà, i cui lavori di ristrutturazione venivano a lui affidati in qualità di architetto, in una memoria incolpava, secondo l’accusa, «pur sapendoli innocenti» la moglie di Benigni e i funzionari comunali Odevaine e Massimo Miglio, «di avere concorso in condotte illecite idonee ad integrare il reato di abuso edilizio».
Secondo l’impianto accusatorio, il professionista nella memoria affermava «che la committente Braschi era pienamente consapevole delle difformità del progetto rispetto alla Dia». E che «anzi era stata lei stessa, su consiglio dei due funzionari comunali, a richiedergli la non menzione nel progetto dal allegare alla Dia degli interventi modificatori. Il tutto per poi presentare tali modifiche solo in sede di sanatoria, e quindi a lavori già eseguiti». A distanza di quasi otto anni è arrivata la sentenza che ha assolto l’architetto.