Pamela Mastropietro, la straziante lettera del papà a chi ha danneggiato l’opera in ricordo della figlia

26 Mar 2021 16:33 - di Paolo Lami

Una lettera aperta, straziante e dolorosa, sui Social per dire “basta” e chiedere di lasciare “in pace” sua figlia, Pamela Mastropietro, la diciottenne romana violentata, uccisa a coltellate e fatta a pezzi dall’immigrato Innocent Oseghale in un appartamento a Macerata il 29 gennaio del 2018.

Con il cuore affranto, Stefano Mastropietro, nella  lettera postata sulla pagina facebook dedicata alla ragazza ammazzata, smembrata e infilata in due trolley dal pusher nigeriano, rivela i terribili attacchi subiti e perfino i danneggiamenti all’opera che le è stata dedicata in piazza Re di Roma, nel quartiere San Giovanni, dove la giovane era nata e viveva.

“Basta. Lasciate in pace mia figlia Pamela. Potete pensarla come volete sul perché e sul per come sia morta, potete offendere, infangare, colpevolizzare e giudicare noi genitori, ma lasciate stare lei. Che fastidio vi da’, ormai? Avete, ancora una volta, profanato la sua memoria, danneggiando l’opera che, per lei, era stata apposta a piazza Re di Roma, nella sua città, lo scorso 30 gennaio, terzo anniversario dai quei tragici e demoniaci fatti“, scrive, su Facebook, il papà della vittima. Che soffriva di un disturbo di personalità borderline. E che, per questo, era dipendente dalla droga, al punto da restare vittima del pusher nigeriano Oseghale.

E non è la prima volta che qualcuno profana la memoria di Pamela.

In precedenza qualcun altro aveva tolto la foto di Pamela Mastropietro dal giardino di via Spalato, dove si trova l’appartamento degli orrori. Ora l’ultimo sfregio alla ragazza morta.

“Non vi è bastato leggere (anche se non è detto che ne siate capaci) del suo corpo vilipeso, senza più una goccia di sangue, tagliato in più di venticinque pezzi, della nostra impossibilità di darle un ultimo saluto, il giorno in cui la vedemmo nella bara, per il pericolo che il suo corpo, faticosamente ricomposto, e neanche per intero, si sfaldasse sotto la pressione del nostro ultimo abbraccio terreno – dice il papà di Pamela. – Non vi è bastato darle della tossica e della “poco di buono”, sui social, o su qualche scritta sui muri, non conoscendo nulla della sua storia e di chi fosse veramente. Non vi è bastato rubare la sua fotografia o i suoi peluche“.

“Non vi è bastato leggere (ma, come detto, dubito che ne siate capaci) di due sentenze che, comunque andrà, hanno accertato la ferocia di colui che si è accanito sul suo corpo. No, non vi è bastato, figli dell’ignoranza. Dovevate, ancora una volta, offendere un simbolo a lei dedicato – prosegue Stefano Mastropietro. – Che ne sapete voi della droga? Che ne sapete voi della sofferenza che si prova a cercare di strappare una figlia a quel mondo, a cui purtroppo è avvinghiata a causa di un maledetto male psichiatrico, di cui in molti si sono approfittati? Che ne sapete del dolore di un genitore, chiamato a rispondere delle proprie azioni (fatte anche di errori, per carità, ma commessi certamente in buona fede, in un mondo dove tutto corre e dove il compito di accudire la cosa più bella che hai è sempre più complesso e difficile) davanti ad un corpo martoriato, con il cuore di una figlia, che spesso ha battuto all’unisono con il tuo, strappato via dal suo petto, ritrovato a parte in un sacchetto?”.

A causa della dipendenza dagli stupefacenti Pamela era stata ricoverata, pochi mesi prima del delitto, in una Comunità di recupero per tossicodipendenti a Corridonia, nel Maceratese. E da lì era poi fuggita ritrovandosi ostaggio della droga e di chi si è approfittato della sua fragilità.  Prima un uomo che le aveva dato un passaggio in cambio di un rapporto sessuale, poi un tassista, che ha contrattato, anche lui, con la diciottenne, una prestazione, quindi Oseghale, che l’ha stuprata, uccisa e fatta a pezzi.

“Che ne sapete delle notti insonni trascorse ad immaginare i suoi ultimi momenti? Si sarà resa conto della fine che stava per fare? Quanto avrà sentito male? Quanto avrà sofferto? E perché diavolo è andata via da quella Comunità dove, con tanta speranza, era stata ricoverata, per curare, innanzitutto, il male della sua anima? – si chiede il papà di Pamela nella lettera. – Come è possibile che, a rispondere di tutti quei tragici e sventurati accadimenti, sia stata chiamata a rispondere una sola persona, condannata sì all’ergastolo, ma mai quanto noi? Che ne sapete del valore di quella fotografia o di quei peluche? O di quell’opera che, al di là se possa piacere o no, rappresenta un ricordo, da relegare non solo nell’intimo di una famiglia distrutta per sempre, ma nella coscienza della collettività, a presente e futuro monito di non abbassare o, meglio, di alzare, la guardia contro certi fenomeni, senza paura o ipocrisie? In gioco c’è la salute e la sicurezza di tutti, infatti, e, comunque la si pensi, certi fatti devono servire per riflettere e migliorare”.

“Perché non accada ancora, si potrebbe auspicare, se vivessimo in un mondo utopistico, o perché accada sempre meno, facendo i conti, invece, con quella che è la realtà – incalza Stefano Mastropietro. – Se così non fosse, si finirebbe con l’essere complici, sicuramente morali, di colui o coloro che compiono certi crimini, dallo spaccio alla violenza sessuale, all’omicidio, al resto”.

“Non sapete leggere, ho scritto prima. Forse è così. O forse no, pensandoci bene. Perché, in questa storia, abbiamo anche scoperto la grettitudine di chi magari dice di saper leggere, di essere un intellettuale (tra cui qualche giornalista o sedicente opinionista), di essere colui che difende i diritti all’autodeterminazione di tutti – si toglie qualche sasso dalla scarpa il papà di Pamela – salvo poi affermare, in maniera più o meno diretta, che Pamela, mia figlia, se la sia quasi andata a cercare e, quindi, a meritare, la fine che ha fatto“.

“Innestando nelle menti, allora, il pericoloso modo di ragionare secondo cui, allora, pure il barbone che dorme alla stazione potrebbe andarsi a cercare, magari, di essere bruciato da qualche squilibrato, così come la prostituta di essere menata o abusata, così come una donna vestita con una bella gonna violentata, e via dicendo”.

Fate semplicemente schifo. Questa è la verità – conclude Stefano Mastropietro – Sono stato in silenzio in molti frangenti, ma ora sono io a dire basta. Per tornare a quanto da ultimo accaduto, dunque, denuncerò il fatto, e non sia mai dovesse essere preso l’autore o gli autori di questo ultimo, indegno gesto, vorrò incrociarne lo sguardo. Per guardare dal vivo l’ignoranza che, quando offende la memoria di un morto, rende colui che ne viene guidato, il più meschino tra gli uomini”.

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