Ricordo di Giani Stuparich: l’italianità di una grande triestino
“Voglio una musica mia/ che vari d’istante in istante/ che ringiovanisca il suo ritmo/ la sua armonia/ ad ogni battuta” : l’autore di questi versi avrà modo di ribadire questo arioso sentire in pagine private di un suo diario. “L’intonazione dell’anima è nell’atto vitale il passo più divinamente difficile”. A un primo sguardo superficiale, queste parole, nel loro complesso, potrebbero sembrare appartenere a un animo sognatore. Sono dello scrittore Giani Stuparich. Non solo Artista, ma uomo dai comportamenti valorosi.
Nato a Trieste il 4 aprile 1891. Periodo segnato da forti contraddizioni e trasformazioni. L’Impero Austro – Ungarico, appariva ancora essere una minacciosa solida realtà negli equilibri dell’Europa. La città, dove aveva visto la luce Stuparich, era ancora una pedina dello scacchiere dell’Impero. Questa situazione di oggettivo assoggettamento, della zona Giuliano – Dalmata agli Austriaci, non lasciava inerte e amorfo l’animo del giovane triestino. La sensibilità artistica di Stuparich, non lo distraeva dall’epoca che stava vivendo. Il primo anno di studi Universitari, lo compì a Praga. Ebbe modo così di percepire l’insoddisfazione del popolo Ceco. Argomento che sarà oggetto di uno dei suoi articoli di collaborazione al periodico “La Voce” di Giuseppe Prezzolini.
Volgeva quindi il suo sguardo, ai crescenti problemi di coesione dell’Impero. L’incendio del sentimento Irredentista, che spirava tra le popolazioni soggiogate, stava per divampare. Il giovane Stuparich, ebbe l’opportunità di studiare a Firenze. Privilegio concesso ai sudditi dell’Impero Austro – Ungarico di lingua italiana. Anche a loro, evidentemente, era riconosciuto qualche diritto di andare a “risciacquare i panni in Arno”. Avendo, la preziosa opportunità di potere far questo, chi ne poteva usufruire, ne usciva con valori di italianità ancora più solidi. Giani Stuparich, non perse l’occasione Città, nella cui Università, concluse il ciclo di studi discutendo una tesi su Niccolò Macchiavelli.
Il clima vissuto a Firenze, fu pieno di suggestioni patriottiche e artistico culturali. Il tutto alimentato ovviamente dall’’ambiente “vociano” frequentato dallo scrittore. Un amico più grande di lui di circa tre anni, Scipio Slataper, anche lui triestino, per i Quaderni della Voce nel 1912 aveva pubblicato l’opera che viene considerata la più importante della sua produzione “Il mio Carso”. Testo nel quale aleggia quella che è stata definita da alcuni “triestinità nera”. Infatti l’opera è il frutto di un tentativo di elaborazione del lutto, per il suicidio della donna amata Gioietta. Il fratello di Giani, Carlo, andò a completare quel trio di triestini che coloreranno le proprie esistenze di onore e gloria. Tutto ciò avvenne, partecipando a operazioni militari durante il corso della prima Guerra Mondiale.
Scipio Slataper cadde il 3 dicembre 1915 in località Piedimonte del Calvario. Per il suo valoroso comportamento gli fu assegnata la medaglia d’argento alla memoria. Il 30 maggio 1916, Carlo Stuparich Irredentista e scrittore, venutosi a trovare con il reparto annientato, per non cadere prigioniero, preferì togliersi la vita. “Il pensiero che mi riconduce a quello che Carlo visse in quei momenti è intenso ma non cruccioso: cerco intorno e dentro a me stesso, mi raccolgo e rivivo. Tutte le volte sono sceso di lassù con l’animo fatto più semplice e chiaro”. U
Un assetto più organico e struggente del porto della nostalgia che è la memoria degli affetti più cari, lo troviamo nella pubblicazione del 1924 “Colloqui con il fratello”. Libro del quale, per la solennità emotiva che la lettura suscitava, indusse Italo Svevo a commentare “pareva un tempio”. La perdita di Carlo, in un contesto così drammatico, segnò profondamente Giani Stuparich. Del terzetto degli amici triestini, Giani, valoroso combattente, sopravvisse al fratello e all’amico Scipio. Anche a lui, fu assegnata una medaglia, la medaglia d’oro al Valor militare. “Con elevatissimo amor patrio, abnegazione ed eroica fermezza … eseguendo parecchie ardite ricognizioni quale capo di pattuglia, sfidando così anche la morte con il capestro”. Alcune delle frasi della motivazione dell’assegnazione dell’Onorificenza.
Nel 1918 tornato a Trieste si sposerà con Elody Oblath. Avranno sette figli. Stuparich per venti anni dal 1921 al 1941 insegnerà al liceo Dante Alighieri. Si terrà, in una zona di marcata distanza dal Regime e dal Partito Nazionale Fascista al quale non fu mai tesserato. Tale era il rispetto per il decorato Giani Stuparich, Che quando nel 1944 con la moglie fu internato per motivi razziali nella Risiera di San Sabba, fu messo in salvo con la famiglia grazie all’intervento del prefetto fascista di Trieste Bruno Coceani. Il caffè degli Specchi di Trieste, era crocevia delle tensioni intellettuali, venate dalla presenza di personalità internazionali. Basti pensare che il locale triestino era frequentato da James Joyce ad esempio, o da Franz Kafka. Non poteva certo mancare Italo Svevo. Il livello quindi era altissimo. Presenze, che venivano allietate dalle musiche di Franz Lehar. Indiscusso maestro creatore di Operette. Un titolo per tutti “La Vedova allegra”.
Giani Stuparich, tra quelle sale, rese ancora più magiche, per i talvolta bislacchi giochi di rispecchiamenti, era un avventore assiduo. L’impetuosità, della Bora dell’Arte e la Cultura, non faceva certo difetto in tale contesto. Nel 1941, l’autore triestino pubblica “Ritorneranno” il suo primo romanzo (Garzanti) seguito nel 1942 dal libro da lui scritto che ha riscosso maggior rilievo dalla critica “L’Isola”. Centro della narrazione è il rapporto di un figlio adulto con il padre in fin di vita per problemi di natura oncologica. “Il figlio vide l’isola rimpicciolire, svanire all’orizzonte nell’immenso bagliore del mare. Fu quello il primo momento ch’egli ebbe la semplice e precisa coscienza di che cosa perdeva perdendo suo padre”.
Un dolore estremo. Uno spiazzamento complessivo. La perdita del padre è un drammatico evento incontrastabile. La perdita della Patria, la terra dei Padri, quella invece non è ineluttabile. Consiste in sentimenti primari. Per cui per riconquistarla ci si può battere, e ci si deve. Sempre. Come ci è stato tramandato e insegnato dal fango e sangue nei quali si sono macerati e sacrificati soldati come Giani Stuparich. Riverberi di quell’epopea, facendoci attenzione, sono ancora quasi palpabili tra gli specchi del caffè più noto di Trieste. Il quale non credo casualmente, si trovi in Piazza dell’Unità d’Italia.