Statali, è allarme per le “pensioni di scorta”: «Il Tesoro non versa la quota aggiuntiva»
Il tipico paradosso della burocrazia italiana. Con carte che si accumulano nello stesso ministero in attesa che un direttore generale bussi al suo pari grado della porta accanto. Esattamente quel che sta accadendo al Mef con le cosiddette pensioni di scorta degli statali. Succede, infatti, che lo Stato da due anni non versa la quota aggiuntiva ai propri dipendenti che aderiscono al fondo di previdenza complementare Perseo-Sirio. Una storia tormentata, sollevata qualche giorno fa dal sindacato autonomo Confintesa per bocca del suo segretario generale Claudia Ratti: «Lo Stato non paga poiché manca un decreto attuativo». A rompere il silenzio tombale che ne accoglie le parole è lo strepitio di Cgil, Cisl e Uil spiazzate dalla denuncia di Confintesa: «Sono falsità».
La denuncia di Confintesa
Una reazione, questa della Triplice, che non si spiega solo con la concorrenza sindacale ma soprattutto con la tempistica. La Ratti aveva infatti parlato alla vigilia della riunione dell’Aran, l’Agenzia governativa competente per il pubblico impiego. Un riunione a dir poco strategica, visto che era finalizzata all’introduzione del meccanismo del silenzio-assenso del Tfr ai fondi-pensione per gli statali neo-assunti. Una bella botta. Ad oggi, infatti l’adesione su base volontaria degli statali al fondo Perseo-Sirio è di 78mila dipendenti su 1,5 milioni. La decisione dell’Aran la farebbe diventare automatica per i neo-assunti. Se ne prevedono centinaia di migliaia, alla luce dell’annunciato sblocco del turn-over. E questo dovrebbe far lievitare il ricorso alle cosiddette pensioni di scorta. In ogni caso, la denuncia di Confintesa non era «falsità».
Le pensioni sono quelle del fondo Perseo-Sirio
Il 25 marzo, infatti, il presidente del fondo Vladimiro Boccali lo mette nero su bianco in due lettere ai ministri Franco (Mef) e Brunetta (Funzione pubblica). I soldi, scrive Boccali, ci sono. Ma bloccati proprio nel ministero di Franco, cioè sui conti del Tesoro. Il perché è semplice: prima di pagare occorre stabilire quanto va versato ad ogni singolo ministero. Il Tesoro dice di essere in attesa dei dati. Il rimpallo va avanti da due anni. Anche perché, spiega Boccali, i ministeri non sono in possesso dei singoli dati. Chi ce li ha è un’altra direzione del Mef, quella dei Sistemi informatici. E lì che c’è l’elaborazione delle buste-paga. Insomma, il Tesoro chiede agli altri ministeri i dati che in realtà ha già in suo possesso. Basta solo bussare al direttore della porta accanto.