Campi: Meloni difende cose reali come famiglia, Stato, nazione. Altro che populismo…
Quella di Giorgia Meloni è la destra che c’è e che convince gli elettori. Bisogna vedere i motivi di questo successo e non certo additare la destra come “brutta, sporca e cattiva“. La destra che piace agli intellettuali, invece, è quella che elettoralmente non batte un chiodo. Questo in sintesi quanto scrive il politologo Alessandro Campi in un editoriale sul Messaggero di oggi. E la sua è una risposta a quanti – come Sofia Ventura – avevano criticato Galli della Loggia per le sue aperture di credito a Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni – sottolinea Campi – è “l’unica leader che è tale nel desolante panorama politico italiano. Che anche a sinistra al di là delle proclamazioni di principio inclina storicamente tra il misogino, il patriarcal-padronale e un maschilismo ora becero ora malcelato. Ma non è questo ovviamente il suo surplus politico, anche se la cosa l’aiuta sul piano dell’immagine e della comunicazione. Come l’aiuta essere giovane leader sprizzante energia e passione militante in un paese di vecchi marpioni”.
La aiuta anche, continua Campi, “la cretineria manifesta di molti suoi avversari, che tra insulti grevi alla persona o ironie da terza media sulla sua cadenza fieramente romana non hanno fatto altro che accrescerne involontariamente la visibilità-popolarità”. Un vero punto di forza della leader di FdI è innanzitutto la sua provenienza “da una storia novecentesca di impegno, caratterialmente assai formativo, nei ranghi delle formazioni giovanili d’un partito che era ancora di massa come ispirazione e mentalità. Oggi la cosa sembra preistoria, ma al dunque fa ancora una grande differenza”.
Altro punto di forza l’avere dimostrato “una gran capacità ad aggregare, riunire e tenere insieme un mondo, quello della destra italiana di provenienza o memoria missina, che al suo interno, a dispetto della retorica comunitarista di cui s’è sempre ammantato, ha spesso conosciuto diaspore, lacerazioni settarie, contrapposizioni ideologiche, fughe estremistiche e personalismi esasperati”.
Infine, conclude Campi, Meloni si pone come esponente “del classico conservatorismo continentale tornato d’attualità“. Dinanzi a questo l’accusa di populismo non regge. Infatti il conservatorismo ha smesso di essere una cultura politica elitaria e anti-popolare “per trasformarsi nella dottrina abbracciata dai ceti popolari che oggi più si sentono traditi da élite sempre più transnazionali e senza patria e più temono gli effetti stabilizzanti (sul piano sociale, economico e psicologico) del globalismo culturale e della globalizzazione economica”.
Giorgia Meloni in definitiva dà voce a chi ritiene che oltre l’Io esasperato vi siano “le personalità collettive grazie alle quali le persone spesso danno un senso trascendente alla propria esistenza altrimenti per definizione effimera: lo Stato, la nazione, la comunità territoriale, il gruppo parentale, le strutture educative, la famiglia stessa. Realtà concrete e carnali, non virtuali. La declinazione di questi temi da parte della Meloni appare grossolana e aggressiva? Se ne offra una più elegante, invece di cavarsela con l’accusa di populismo”.