Il lockdown, specie se lungo, non aiuta a sconfiggere il Covid: uno studio spiega perché
Il lockdown, specie se lungo, non aiuta a sconfiggere il Covid: uno studio spiega perché. Dopo più di un anno di chiusure a singhiozzo e restrizioni improvvise, uno studio pubblicato dal Centre for Economic Policy Research, rilanciato dal Messaggero in queste ore, s’interroga proprio sull’effettiva efficacia della clausura coatta imposta al mondo dalla pandemia. Il report parte allora da due domande fondamentali: il lockdown davvero serve a combattere il Covid? E per funzionare come formula anti-contagio, quanto deve durare? Ebbene, lo studio risponde ai due interrogativi che chiunque di noi si è posto nelle lunghe, interminabili, giornate casalinghe. Vediamo nel dettaglio le risposte.
Lockdown e Covid: uno studio analizza gli effetti delle restrizioni sul virus
Certo intimidisce leggere il responso dello studio curato da Patricio Goldstein, professore della Harvard University. Da Eduardo Levy Yeyati, dell’Università Torquato di Tella di Buenos Aires. E da Luca Sartorio, membro del ministero del Lavoro argentino. Perché ripensare alla reclusione del marzo dio un anno fa, o anche alle nuove incursioni nella giungla dei divieti di recente acquisizioni, crea disagio più che nostalgia. E, soprattutto, in caso di risposta negativa, come giustificare a noi stessi tutte quelle ore trascorse lontani dai nostri cari? E tutte quelle festività segnate in rosso dal calendario, vissute in solitudine lontano dai familiari e sacrificate al virus e al terrore di una sua recrudescenza? Come riuscire a sentirsi appagati dalla soddisfazione di aver, anche se solo in parte, opposto resistenza alla pandemia privando i nonni della presenza dei nipoti, e viceversa? Sacrificando mondi imprenditoriali messi in ginocchio dall’emergenza sanitaria. E ridotti a una crisi nera nel tentativo di ridurre i contagi?
Il sacrificio è valso alla causa della lotta la virus?
Come spiegare a bambini e ragazzi, la scuola declinata alla Dad? E ancora: davvero chiudere ristoranti e palestre. Privarci della socialità e accontentarsi del lavoro declinato a una sua versione casalinga è servito? Lo studio, strutturato sulla comparazione dei dati relativi ai contagi e ai decessi per Covid di 152 Paesi. E che estende i suoi orizzonti d’indagine dall’inizio della pandemia fino al 31 dicembre 2020: quindi prima dell’arrivo dei vaccini, soddisfa la curiosità. Ma turba la nostra coscienza civica di cittadini chiamati a vivere tra misure e restrizioni, nell’era del coronavirus. E come riferisce il Messaggero, sentenzia: «Le restrizioni applicate per un lungo periodo, oppure reintrodotte in caso di recrudescenza dei casi, hanno un effetto più debole e attenuato sia sulla circolazione del virus. Che sul numero di vittime. Tradotto: le chiusure dovrebbero essere brevi, ma molto rigorose».
Come incide il fattore tempo su lockdown e divieti
Insomma, niente sconti. Anzi. I risultati, da un lato sottolineano l’importanza della campagna vaccinale: un fattore dirimente laddove procede a rilento o, addirittura, stenta a decollare. Dall’altro rimarcando un dato difficile da metabolizzare. Ossia, quello secondo cui anche se le restrizioni hanno giocato un ruolo importante nel contenimento del contagio, con il passare del tempo e con l’aumento dello stress da chiusura, le limitazioni imposte hanno perso di valore e di efficacia. Per un motivo soprattutto, scrive Il Messaggero: le persone infrangono i divieti «con una frequenza progressivamente maggiore». E rispettano le norme in modo via via sempre «meno scrupoloso». I ricercatori, infatti, nella misurazione di intensità e durata parametrati alla variabile della efficacia del lockdown, sono partiti utilizzando il parametro studiato dall’università di Oxford.
Dalla ricerca è emerso che dopo 120 giorni una chiusura rigorosa…
E considerando diversi fattori, che il quotidiano capitolino elenca: «La chiusura delle scuole e dei luoghi di lavoro. Le restrizioni imposte a locali e ristoranti. La sospensione degli eventi pubblici. Poi è stata considerata l’intensità dei movimenti nei luoghi sottoposti a chiusura, misurata con Google Maps. Lo scopo era vedere la modifica progressiva durante i giorni di lockdown dell’indice di contagio Rt. E anche l’evoluzione della curva relativa ai decessi da Covid». Dunque, il risultato parla chiaro: «Dalla ricerca è emerso che dopo 120 giorni una chiusura rigorosa ha un effetto molto più attenuato sulla riduzione del numero dei morti rispetto alla prima fase delle restrizioni. L’impatto delle chiusure prolungate non è significativo nemmeno sull’indice Rt». Perché? Perché la fatica del lockdown dopo un po’ si fa sentire. E i più insofferenti si sentono giustificati a infrangere i divieti. Una domanda però resta ancora inevasa: come valutare, alla luce di tutto questo. E quali parametri attivare o depennare, per il sistema della tavolozza dei colori regionali? Al prossimo studio, l’ardua sentenza...