Insulti alla Meloni, il prof ora fa il piagnisteo e non chiede scusa. Il web lo massacra

1 Apr 2021 18:32 - di Bianca Conte
insulti alla Meloni prof Di Luca

Insulti alla Meloni, ora il professor Di Luca prova a fare la vittima. A minimizzare. Ma le parole sono pietre, come diceva Wittgenstein. Che in questo caso arrivano come una sassaiola di insulti, ma che definiscono per primo chi, credendosi senza macchia e senza peccato, scaglia la prima. Che poi, a ben vedere, non è nemmeno la prima volta che il prof in questione si rivolge con locuzione ed epiteti offensivi contro Fratelli d’Italia e la sua leader. Eppure, smascherato dal consigliere Urzì e dai media. E bersagliato sui social, il docente posta in sua difesa sul proprio profilo Facebook: «Chi ha manovrato questa campagna di stampa nei miei confronti ha calcolato effetti e conseguenze della pioggia fecale alla quale è sottoposto chi osa raschiare un po’ lo smalto di individui che usano la loro posizione e il loro potere per danneggiare il prossimo».

Insulti alla Meloni dal Prof Di Luca: una deriva inaccettabile

E dopo il piagnisteo, torna alla carica: «Personalmente conosco il meccanismo e non mi dà neppure troppo fastidio. Io sono responsabile di quello che scrivo, lo difendo se c’è da difenderlo e riesco a cavarmela da solo». Non solo: parla di «degenerazione social che ha trasformato la libertà di commento in una libertà di linciaggio». Di «una diuturna gogna mediatica». quando ad infierire, e neppure nel corso di un contraddittorio, è stato lui, che ora prova a spacciarsi per vittima. Insomma, siamo alle solite: chiunque alzi la voce contro il pensiero unico imperante, e magari riscuota pure un (preoccupante) successo, si espone alla gogna mediatica più violenta, volgare e ottusa. Di violento e di volgare – come nel caso Gozzini – c’è il linguaggio. Di ottuso, c’è l’incapacità di opporre argomento ad argomento. E di individuare valori non condivisi e di spiegare il perché di questa non condivisione.

Insulti alla Meloni: una campagna denigratoria violenta e ottusa

Ma per farlo, bisognerebbe essere dotati di strumenti culturali che i lapidatori di turno evidentemente non posseggono. Perciò, è inutile starsi a chiedere dove e perché una leader a cui tutti – o quasi – riconoscono non solo titoli democratici e ruolo istituzionale (e ci mancherebbe), ma anche indubbie capacità politiche, venga periodicamente assoggettata a campagne denigratorie, lo ripetiamo, violente. Volgari e ottuse, in contrasto perfino con uno dei capisaldi del “pensiero unico”. E cioè il cosiddetto sessismo: la stupidità non ha spiegazioni. E, lo sappiamo, contro la stupidità gli stessi dei lottano invano.

Insulti alla Meloni, il prof Di Luca fa la vittima ma insiste a offendere

Una vittima che, anche nel tentativo di difendersi, parlando con l’Adnkronos continua a svillaneggiare. Prima sostenendo: «Alla Meloni non penso mai, il mio era un post ironico dopo una conferenza». Laddove – va detto – il ricorso a termini come quelli usati nel post incriminato non hanno nulla di ironico: semmai sono ad alto potenziale offensivo. E poi sferzando il suo omologo, il professor Gozzini, al quale manda a dire: «Non mi sento il nuovo Gozzini. Lui usò termini anche offensivi nei confronti della signora Meloni che io mi sono ben guardato dall’usare, avendo un controllo della scrittura abbastanza più sofisticato». Come se usare la locuzione “vomitata da un pullman, riferito a una donna che, oltretutto, è anche una leader politica nazionale, che merita lo stesso rispetto istituzionale che meritano i suoi colleghi/e, fosse riguardoso e innocuo.

Insulti alla Meloni, il docente prova a difendere l’indifendibile

Ma Di Luca insiste. Peggiorando la situazione e raschiando sì, in questo caso, anche quel minimo di smalto formale a cui poteva fa appello. Insomma, piuttosto che scusarsi e giustificarsi, il 53enne livornese trapiantato nella Bolzano del delitto Neumair (è il vicino di casa dei coniugi uccisi e fatti sparire dal figlio, ndr), insiste a rivendicare allure formale e diritto di offendere qualunque interlocutore, impunemente. Anzi, auto-promuovendosi da carnefice virtuale in vittima mediatica, urla al «linciaggio». Pur ammettendo, ma proprio in zona Cesarini. E forse, ormai convinto anche lui di difendere l’indifendibile: «Sono consapevole di ciò che scrivo. Poi precisa:  «ho usato una metafora abbastanza triviale che forza il linguaggio, ma non lo spacca. Qualche volta, tuttavia, scivolo anche io in frasi che sarebbe meglio non dicessi». Ah: era ora che arrivasse almeno un minimo di mea culpa…

Un’autocelebrazione che sconfina nel delirio

Docente di italiano in una scuola di lingua tedesca che forma assistenti sociali, quello che Karl Popper oggi definirebbe un “cattivo maestro”, che si assume la responsabilità morale ed etica di veicolare, stavolta per dirla alla Vance Packard, messaggi da “persuasori occulti”, ricostruisce motivazioni e tempistiche che lo avrebbero indotto all’inaccettabile insulto contro Giorgia Meloni. «La polemica si riferisce a un post di 6 anni fa che ho poi ri-condiviso nella mia bacheca pubblica di Facebook – racconta Di Luca all’Adnkronos –. Mi ero anche scordato di aver partecipato silente a quella conferenza stampa, che poi in realtà si rivelò una riunione di partito. Una volta a casa scrissi un post ironico. Ma lo faccio spesso», aggiunge assai poco umilmente, «anche ispirandomi al mio maestro Ennio Flaiano. Generalmente scrivo molto, per lo più di libri, ma non volevo certo offendere».

Gli utenti contestano sui social toni e modi delle “parole” del prof

E prosegue: «La cosa che ha mosso tutto è stata la mia critica alla strumentalizzazione, secondo me vergognosa, che viene fatta del giorno del ricordo nella memoria delle Foibe e dell’esodo giuliano. È stato lì che avevo già seminato malumore». Laddove, anche in questo caso, andrebbe rivolto al prof un richiamo verbale sull’utilizzo improprio e fastidiosamente auto-assolutorio dei termine “strumentalizzazione” parlando del massacro e della disperazione di nostri connazionali che hanno pagato al comunismo titino con la vita. Verità storiche e dolore nazionale che mal si coniugano al concetto di semplice «malumore». Forse il docente dovrebbero ripartire dallo studio della lingua italiana e imparare ad usare e dosare meglio le parole che dovrebbero essere i ferri del suo mestiere. E a cui ricorre con spregio della verità e del rispetto in nome di un cinismo che, oggi, gli si ritorce contro. Anche da parte degli stessi utenti. Di cui ha scatenato, stavolta sì, il malumore, riversato sulla sua pagina Facebook in post e commentano che contestano modi e toni delle sue “parole”...

 

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