L’apparenza che inganna: dal delirio della Murgia sulle divise alla criminalizzazione dello sciamano

7 Apr 2021 19:16 - di Hoara Borselli

Nel pieno dei deliri social e nel roboante ripetersi di rappresentazioni iconografiche, siamo ormai portati a giudicare e decifrare le persone per l’abito che indossano, per come si mostrano ai nostri occhi ed oggi in una società che basa tutto o quasi tutto sull’immagine, l’aspetto prende una valenza ancora maggiore in termini comunicativi quasi a voler essere più determinante della parola.
Due casi emblematici seppur agli antipodi mostrano chiaramente come l’abbigliamento sia spesso la metafora di qualcosa che racconta per gli altri e a cui si da spesso un’interpretazione distorcente rispetto al valore comunicativo del messaggio che si vuole veicolare.

Le accuse di Michela Murgia a Figliuolo

Il primo caso significativo è il delirio della scrittrice Michele Murgia durante la trasmissione Di Martedì, la quale ha dato una sua interpretazione sul commissario Figliuolo e quello che rappresenta,portando un semplicistico e superficiale giudizio legato alla sua divisa.
Nel corso della trasmissione, il conduttore Floris chiede alla Murgia cosa pensi del linguaggio comunicativo utilizzato dal commissario straordinario all’emergenza Covid e la scrittrice ha risposto “Quando vedo un uomo in divisa mi spavento sempre, non mi sento più al sicuro. Non sono sicura che la categoria bellica sia una categoria con cui si può responsabilizzare un Paese: ci spaventa di più”.
Da sempre le forze dell’ordine ci proteggono ma alla Murgia fanno paura.
Emerge come per la scrittrice che tanto si basa sulle cause femministe, l’apparenza sia più importante di come una persona sappia rivestire il suo ruolo. Figliuolo deve garantire i vaccini, questo forse le sfugge e non è di poco conto.

Lo sciamano che a Roma cercava solo di farsi ascoltare

L’esteriorità spesso inganna, è vero, e non basta certo un vestito o una divisa a creare “un’identità”.
L’altro caso emblematico in cui l’abbigliamento, la conformazione fisica rappresentano un simbolo di appartenenza e richiamo inequivocabile alla presentazione e alla sua comunicazione è quella presentata dallo sciamano modenese Hermes Ferrari presente alla protesta di Montecitorio il quale ha affermato ‘ho dovuto camuffarmi per farmi ascoltare”.
La provocazione per richiamare l’attenzione, che ha scelto lo stesso look di Jake Angeli durante l’assalto a Capitol Hill. Hermes infatti ha indossato corna e pelliccia con la bandiera italiana dipinta in volto al posto di quella a stelle e strisce, ristoratore in ginocchio ha ribadito: “Oggi purtroppo ho dovuto camuffarmi per farmi ascoltare. Se fossi venuto non camuffato non mi avrebbe ascoltato nessuno. Io non voglio fare come a Washington ma quell’immagine ha fatto il giro del mondo e ho pensato anche io di farmi notare in questo modo”.
Farsi sentire ma soprattutto vedere perché esasperati.
In entrambi i casi,in maniera differente, emerge come l’immagine a livello comunicativo trasmetta importanti informazioni sul messaggio che si vuole veicolare.
In un epoca dove l’apparire è sempre più al centro di ogni dibattito, ciò che indossiamo e mostriamo serve a negoziare un’identità, aiutandoci a definire le situazioni e i contesti diventando prioritario proprio come “modo per dire chi sei senza dover parlare”.

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