“Nemici” sì, ma con rispetto. Il fair play in politica, da Almirante e Berlinguer a Giorgia ed Enrico
Da Giorgio ed Enrico a Giorgia ed Enrico. Il fair play tra “nemici” stuzzica la memoria del Corriere della Sera. E se i primi due – Almirante e Berlinguer – rappresentano il “fascista” e il “comunista” che dialogano con l’obiettivo di salvare la Repubblica dalla follia del terrorismo, i secondi – Meloni e Letta – incarnano il modello giusto su cui sagomare i rapporti tra maggioranza e opposizione. Stagioni diverse, certo: di là la funesta stagione degli Anni di piombo, con il suo carico di lutti e di violenze, che i segretari di Msi e Pci cercano di arginare dialogando in segreto nella Sala della Regina di Montecitorio. Di qua i loro eredi, i leader di FdI e Pd, che s’incontrano alla luce del sole per parlare anche dei diritti dell’opposizione alla luce dell’ammucchiata partorita dal governo di unità nazionale.
Il Corsera rievoca gli incontri tra Almirante e il capo del Pci
Ce n’è abbastanza per dedurne che, almeno dall’omicidio di Aldo Moro in poi, un filo esile ma resistente tiene collegate forze opposte. Va da sé che alla luce della posta in palio e del clima di quegli anni, gli incontri tra Almirante e Berlinguer si rivelano molto più impegnativi di quanto non possano risultare quelli tra la Meloni e Letta. Lo rivela, se non altro, la segretezza che tuttora li avvolge. L’unico testimone è il giornalista Massimo Magliaro, una vita al fianco del leader missino. Il suo omologo comunista Antonio Tatò, l’altro testimone, è morto da tempo. Oltre a loro, solo le mogli dei leader sapevano dei tormentati dialoghi dei rispettivi mariti sui divani di Montecitorio. Restano invece top secret i loro contenuti. «Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli cosa si dicessero», conferma ancora oggi Magliaro.
Dopo il colloquio tra la Meloni e Letta
È più che probabile, tuttavia, che i due si confrontassero sul come trattenere i rispettivi mondi giovanili ammaliati dalle sirene di quell’estremismo spesso anticamera della lotta armata. In segreto, com’era giusto che fosse per un’operazione che rischiava ogni tipo di sabotaggio, anche dall’interno delle istituzioni. Fu perciò più che una sorpresa vedere il “repubblichino” Almirante varcare la soglia di Botteghe Oscure per rendere l’estremo omaggio all’«uomo onesto», come definiva il capo comunista. Un atto di coraggio che quattro anni dopo sarebbe stato ricambiato da Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta. Furono loro a recarsi nella sede del Msi per inchinarsi davanti alla bara del “fascista”. «Oltre il rogo non c’è ira», disse Pajetta per giustificare la propria presenza al funerale. Persino lui, l’ex-“ragazzo rosso“, ignorava che tra Almirante e Berlinguer l’ira si era spenta prima del rogo.