Recovery, già litigano al buio. Pd e M5S urlano, la Bellanova accarezza Draghi e schiaffeggia Conte

25 Apr 2021 10:33 - di Giorgia Castelli
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In ballo ci sono oltre 221 miliardi, 191,5 miliardi finanziati con il Recovery plan e 30,04 del Fondo complementare nazionale. Prima la bozza (inaccettata e inaccettabile) del governo Conte, poi l’impianto firmato da Mario Draghi tra i fuochi d’artificio dei soliti noti. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza resta ancora un’incompiuta, si annusa ma non fa gioire. E serpeggia il malumore nei partiti di governo. I Cinquestelle piangono il cashback, che è in bilico. Del resto Draghi ha sempre guardato con distacco l’iniziativa. E sul resto già litigano al buio, perché nessuno vuole perdere “potere”.

Il Recovery e la corsa a non restare fuori

Poi c’è la questione della governance, ancora non è chiaro chi metterà mano al “funzionamento” del Recovery per mettere a frutto i finanziamenti sotto la regia di Draghi. E qui la lotta si fa dura perché nessuno vuole restare fuori. Il ministero dell’Economia vuole fare la parte del leone. Gli altri non vogliono finire dietro la lavagna. Il Pd batte i pugni sul tavolo, urla con la scusa delle “quote” per giovani e donne. Con quest’arma cerca di mantenere un ruolo da protagonista.

La Bellanova attacca Giuseppe Conte

In questo inferno mascherato i renziani tentano di tagliarsi un ruolo. Ed esaltano le “gesta” del nuovo premier. «Grazie all’azione autorevole del residente Draghi sembra essere stato raggiunto l’accordo con l’Europa sul Pnrr. Un passaggio importante, non facile, nonostante il precedente premier lo avesse dato per scontato, restando ben lontano dall’arrivarci». Lo scrive sui social Teresa Bellanova.

Recovery, quel piano pentastellato…

«Spero sia evidente che il Piano di Conte non era assolutamente all’altezza di questa grande sfida. Lo dimostrano le 400 pagine di modifiche presentate da Camera e Senato, segno che molto andava cambiato. Ci siamo fatti carico per primi di questa battaglia, fino a lasciare i nostri posti e dimetterci. Spiace essere stati in solitudine in quella che più volte ho definito una battaglia contro la mediocrità».

«Noi i disfattisti?»

«Spiace», avverte, «essere stati additati come disfattisti o traditori, trasformando una legittima richiesta di serietà a favore del Paese in un ring politico. Spero sia chiaro a tutti che gli unici responsabili che valeva la pena cercare dentro e fuori il Parlamento erano quelli che avevano a cuore il destino del Paese».

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