Vaia (Spallanzani): “Dobbiamo tornare a vivere. Le persone depresse hanno difese immunitarie peggiori”
Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale delle malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, lo ha scritto ieri su Facebook. E lo ha ribadito ancora oggi in un’intervista rilasciata al Messaggero: «Dobbiamo tornare a vivere. E sfruttare la bella stagione per far ripartire le attività all’aperto». Del resto, sottolinea l’esperto, i dati ci dicono «che possiamo conquistare nuovi spazi socialità. Allora anche noi dobbiamo fare in modo che la nostra società riapra sempre di più».
Vaia (Spallanzani): «Dobbiamo tornare a vivere»
Dunque, il messaggio di Vaia comprende una sorta di appello e, al tempo stesso, una vera e propria certificazione istituzionale sulla possibilità di recupero di una sorta di “normalità”. Una normalità osteggiata dalla pandemia. Negata dai provvedimenti governativi in vigore da oltre un anno a questa parte. E rivisitata e corretta per alcune categorie professionali, finite in ginocchio tra lockdown e restrizioni. Per superare tutto questo, spiega allora il direttore sanitario dello Spallanzani, «dobbiamo tornare a vivere. E visto che all’aperto le probabilità di trasmettere il virus si riducono, se si rispettano le distanze e si usano le mascherine, allora è venuto il momento di una graduale ripresa delle attività ricreative, culturali ed economiche». E rilancia: contro il Covid-19 «serve un nuovo equilibrio tra protezioni e normalità».
Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani: i dati ce lo consentono
«Facciamo questo tipo di ragionamento», spiega Vaia: «Siamo in una fase in cui anche l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) dice che possiamo conquistare nuovi spazi socialità. Allora anche noi dobbiamo fare in modo che la nostra società riapra sempre di più. Sia pure in modo graduale. Pensiamo a un pendolo che oscilla: dobbiamo trovare il punto di equilibrio tra la sicurezza sanitaria e il ritorno a una vita normale. Per i cittadini, ma anche per le imprese».
Vaia, l’appello rivolto anche ai sindaci: l’Italia torni a respirare
Nel suo appello l’esperto si rivolge anche ai sindaci, che «sono il tessuto connettivo del nostro Paese. Anche da loro deve partire una spinta perché l’Italia torni a respirare. All’aperto molte attività possono essere consentite, ma servono comunque ragionevolezza e organizzazione». Secondo Vaia, «nei parchi e nelle aree pubbliche si possono ricostruire occasioni di ritorno alla vita normale. Dobbiamo sfruttare l’opportunità che ci offrirà la bella stagione e che ci consentirà di restare all’aperto molto più a lungo».
«Cittadini depressi e chiusi in casa hanno difese immunitarie peggiori»
Dunque, sempre secondo Vaia, «all’interno di questi spazi bisogna prevedere aree ben strutturate. In cui i cittadini possano ritrovare anche la loro serenità. Cittadini depressi e chiusi in casa per sempre hanno anche un sistema immunitario peggiore. Difese peggiori», ammonisce il medico. «Sia chiaro», precisa: «Il virus c’è ancora, non è scomparso. Ma all’aperto, nel rispetto delle regole del distanziamento e dell’utilizzo della mascherina, si devono individuare possibilità di svago. Di praticare sport. Garantire l’offerta di eventi culturali. Anche aree di ristoro».
Vaia: contestualmente occorre «trovare soluzioni innovative per reperire più vaccini»
Non solo. Con prudenza, secondo Vaia, potrà ripartire gradualmente anche l’economia. «Le possibilità di contagiarsi all’aperto sono minori: su questo penso che possiamo essere tutti d’accordo. Ma non significa che si possano consentire pericolosi assembramenti. Con questa premessa, sempre con buon senso e rispetto delle regole e delle precauzioni – ribadisce il direttore sanitario dello Spallanzani – bar e ristoranti, a mio avviso, possono ripartire iniziando la loro attività all’esterno». Per poter riaprire, allora, Vaia pensa anche: sia «agli anticorpi monoclonali che ormai stiamo usando allo Spallanzani. E che hanno confermato una percentuale molto alta di efficacia nell’evitare alle persone di finire in ospedale. Sia ai vaccini».
«Il nodo è la carenza di dosi. Senza munizioni è difficile vincere la guerra»
E così, esorta il medico, «chi deve fare faccia. Servono più dosi, da qualsiasi produttore. Non c’è un problema logistico, di medici o di infermieri che mancano. Il nodo è la carenza di dosi. Senza munizioni è difficile vincere la guerra. Per questo dico che dobbiamo anche trovare soluzioni innovative, come stanno dimostrando altri Paesi. Abbiamo fatto tanta fatica per restituire fiducia nel sistema dei vaccini ai cittadini… ma alcune indecisioni. Alcuni messaggi sbagliati inviati di recente, rischiano di compromettere questo risultato. A settembre e ottobre avremo milioni in più di vaccinazioni. Ma intanto utilizziamo il tempo per migliorare le scuole e potenziare i trasporti». A proposito di soluzioni alternative appunto...