Cancel culture, chi sono i nuovi barbari che seminano odio secondo il filosofo Liessmann
L’episodio del bacio del principe azzurro a Biancaneve è solo l’ultimo, forse il più iconico, esempio di come la cancel culture aggredisca senza ritegno la tradizione culturale occidentale. La cultura così diventa campo di battaglia tra concezioni opposte – quella che salvaguarda le identità e quella che intende cancellarle – e la scuola diviene terreno di propaganda.
Il filosofo Liessmann: l’istruzione non è una promessa di salvezza
Lo sostiene il filosofo austriaco Konrad Paul Liessmann, oggi intervistato da Giulio Meotti sul Foglio. “Oggi la cultura è importante quanto lo era in passato la religione”, dice Liessmann. “La cultura non è più il luogo di dibattiti vivaci, ma piuttosto il luogo dove le identità culturali si contrappongono l’una all’altra. Allo stesso tempo, le persone usano queste identità per definire il loro significato e valore, proprio come facevano con una religione. Una promessa di salvezza veramente laica, tuttavia, sta nel modo in cui parliamo di istruzione oggi. Molte persone guardano all’istruzione per essere liberati dai mali di questo mondo”.
L’istruzione non deve liberarci dal male
“In nessun altro ambito della vita – continua Liessmann – c’è così tanta speranza come in quello dell’istruzione, non c’è autorità di cui ci si fida tanto quanto l’istruzione. E’ il mezzo con cui le donne, i migranti, le classi inferiori, le minoranze oppresse devono essere emancipate, integrate e incluse, l’istruzione protegge i giovani dalla seduzione della droga, dello Stato islamico e del populismo, l’istruzione è vista come un mezzo attraverso il quale si possono prevenire pregiudizi, discriminazione, disoccupazione, fame, obesità, anoressia, Aids, disumanità e genocidio, le sfide del futuro possono essere superate. Chiunque oggi parli di istruzione crede nei miracoli. Ma tutto questo è davvero troppo“.
Cancel culture, la barbarie culturale contro il patrimonio del passato
Liessmann parla anche di barbarie culturale a proposito della cancel culture, cioè del “disprezzo per le tradizioni estetiche, scientifiche e culturali, il disprezzo per il patrimonio culturale”. “Senza il patrimonio culturale – afferma ancora il filosofo austriaco- e qui includo anche le tradizioni scientifiche in un senso più ampio, ci muoveremmo costantemente in cerchio, in una forma di immediatezza, ingenuità, ignoranza. Saremmo dei barbari. Non si può immaginare come sarebbe una società in cui tutto ciò che è stato ereditato da noi non sarebbe più disponibile. Come sarebbe la nostra letteratura se gli scrittori non potessero più occuparsi di storia e opere letterarie, come sarebbe la nostra scienza se dovessimo dimenticare tutto e riscoprire e reinventare tutto? Allora saremmo dei barbari. Senza una relazione con il passato culturale, saremmo dei barbari. E chiunque persegua una politica culturale o educativa che suggerisce l’oblio di questo patrimonio o addirittura lo promuove, consciamente o inconsciamente, promuove effettivamente la barbarie”.
La censura all’arte per evitare traumi ai giovani e anch’essa barbarie
Il politicamente corretto determina uno standard morale in base al quale censurare il passato. Atteggiamento che Liessmann trova particolarmente negativo. “Questo paternalismo moralmente motivato esprime in realtà un certo disprezzo per le persone. Naturalmente è vero che abbiamo opere in letteratura, ad esempio, che va detto che non soddisfano i nostri standard morali reali o presunti. Ci sono esempi semplici come i film degli anni Quaranta, che da tempo fanno parte di un canone educativo cinematografico in cui le persone fumano incessantemente. Adesso capita che queste opere d’arte cinematografiche siano esposte con la nota ‘Attenzione, qui si fuma’. Come Humphrey Bogart al bar nel famoso film ‘Casablanca’. E non è un caso che sempre più persone chiedano che le opere d’arte moralmente sospette ricevano segnali di avvertimento, perché i giovani potrebbero essere traumatizzati di conseguenza. Certo: l’arte può disturbare! L’arte dovrebbe disturbare. Una cultura che crede di dover intervenire sulle opere d’arte del passato, correggerle, migliorarle, disinnescarle, riscriverle – per me questa non è cultura, ma barbarie, cioè censura”.