Caso Amara, la Cartabia dà il via libera al Pg della Cassazione: provvedimenti disciplinari
Si mette in moto con una telefonata a tarda sera fra il ministro della Giustizia, Marta Cartabia e il Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi, la macchina istituzionale che deve distribuire provvedimenti disciplinari e mettere una pezza a colori all’ennesimo scandalo della magistratura italiana.
Quello originato dalle dichiarazioni dell’avvocato Pietro Amara, (nella foto) ex-consulente legale dell’Eni, il quale, arrestato molto tempo fa, a un certo punto ha iniziato a parlare dell’universo mondo visto che le Procure accorrevano come mosche sul miele, dipingendosi come un pentito disponibile a svelare questo e quello, a seconda delle richieste dei vari magistrati.
Morale, dopo aver navigato a vista in acque poco profonde, Amara a un certo punto ha deciso di fare il grande salto rivelando alla Procura di Milano – siamo nel dicembre 2019 – l’esistenza, a suo dire, di una sorta di loggia, ovviamente segreta, denominata, per comodo, Ungheria, dal nome della celebre piazza nel cuore dei Parioli dominata dalla Chiesa di San Roberto Bellarmino dove la créme de la créme del generone romano, compreso Mario Draghi, si affaccia ogni tanto per avvicinarsi a Dio.
Cosa succedeva e chi c’era dentro questa loggia Ungheria, dunque?
Secondo Amara c’erano (o ci sono) magistrati, politici, alti esponenti delle istituzioni, qualche massone, magari qualche 007 che ci sta sempre bene, etcetera etcetera. Insomma il solito cocktail che poi, in Italia, si trasforma, alla fine, inevitabilmente, in un brodino insipido.
Amara dunque parla, i magistrati milanesi verbalizzano in cinque incontri la chiacchiera dell’ex-legale Eni, ma l’inchiesta arranca, non parte, esita a darsi corpo e struttura.
Fino a quando uno dei pm, Paolo Storari, dopo aver inutilmente sollecitato i vertici a darsi una mossa, capita l’antìfona, passa l’incartamento aumma aumma – e qui sta il problema – all’allora consigliere del Csm, Davigo.
Non glielo passa formalmente, come dovrebbe, secondo la ricostruzione della vicenda. Gli dice che l’inchiesta tarda a decollare. E che percepisce di avere i bastoni fra le gambe. E gli passa i verbali di Amara.
La cosa è più che delicata. Primo perché le lamentazioni riguardano, fra l’altro, il capo di Storari, cioè Francesco Greco, cioè l’ex-moschettiere di Mani Pulite. Cioè l’ex-collega di Davigo quando il pool faceva tremare i palazzi della politica.
Ma è altrettanto delicata perché Amara ha sparato a palle incatenate contro personaggi irreprensibili, facendo nomi assolutamente inverosimili come quello del consigliere del Csm, Sebastiano Ardita.
Possibile? Possibile che un’icona della migliore magistratura come Ardita possa davvero far parte di una loggia segreta dove si decidono sentenze e promozioni?
Come se non bastasse, c’è un altro particolare: Ardita è un amico di Davigo. Anzi ex-amico. La rottura traumatica fra i due che animavano la stessa corrente della magistratura è stata una specie di big bang.
Ardita e Di Matteo, altro pezzo da novanta del Csm, molto caro ai grillini, da una parte, Davigo dall’altra.
Inoltre c’è un aspetto che mette un’ipoteca importante sulle chiacchiere di Amara.
L’ex-legale Eni, infatti, verbalizza, secondo il Corriere, che “Ardita gli fu presentato come un componente della loggia dall’ex direttore delle carceri Giovanni Tinebra nel 2006, in qualità di pm a Catania”.
Ma ci sono due particolari che rendono le dichiarazioni di Amara non credibili.
Primo: Ardita non lavorava più a Catania da almeno 6 anni.
Secondo: da molto tempo, ben prima del 2006, Ardita aveva rotto i rapporti con Tinebra. Che, di conseguenza, non avrebbe mai potuto presentarlo ad Amara.
Su tutto questo grava pesantemente un altro aspetto, il più importante. Cioè la procedura informale con cui il pm milanese Paolo Storari ha coinvolto Davigo nella vicenda lamentando che l’inchiesta – i pm hanno l’obbligo dell’azione penale – non fosse partita.
Perdipiù Davigo ne ha parlato, a cascata, con diverse persone, sempre informalmente. Con il renziano Davide Ermini, vicepresidente del Csm, con il Procuratore Generale della Cassazione, Giovanni Salvi, uomo navigatissimo, fratello dell’ex-parlamentare del Pd, Cesare Salvi, cresciuto professionalmente nel caro vecchio porto delle nebbie, la Procura di Roma dalla quale ha spiccato il volo verso una folgorante carriera, verso l’empireo della magistratura, atterrando sulla poltrona di Pg della Cassazione.
Salvi ieri sera ha ricevuto la telefonata di Marta Cartabia. Che gli ha dato sostanzialmente il via libera per procedere con i provvedimenti disciplinari. Toccherà certamente a Storari “colpevole” di aver passato a Davigo i verbali e di averlo messo a conoscenza della faccenda in maniera informale. Rischia, con molta probabilità, il trasferimento per incompatibilità ambientale.
Ma c’è anche un altro aspetto. E riguarda il fatto che la questione è arrivata alla Procura di Perugia da Milano con un anno di ritardo.
Non solo. Piano piano emergono uno dopo l’altro i nomi di altri, al Csm ma non solo, con cui Davigo ha parlato della questione. Sempre informalmente.
La polpetta avvelenata lanciata da Amara fra le toghe rischia di fare molto più danni nella magistratura di quanti ne ha già fatti il devastante caso Palamara.