Ddl Zan, la libertà con va confusa con la violenza: il pensiero è l’essenza dell’Occidente
L’uomo è un animale giudicante, in ogni nostro atto e pensiero inevitabilmente giudichiamo, addirittura quando non giudichiamo comunque giudichiamo, giudichiamo di non giudicare.Dire:non so che dire, è un dire; dire: non so se è bello o brutto, è una valutazione, comunque. Ma in tal caso può accadere una situazione perniciosa come nessuna, consiste nel mettere sullo stesso piano, non distinguere, equiparare, non disprezzare, non disuguagliare. Evitare insomma il giudizio valutativo. Come detto, non valutare è un modo di valutare, ma è un modo di valutare il più rovinoso concepibile.
Se ogni individuo, ogni società sono posti sul medesimo piano l’uomo non è più dotato della caratteristica preziosa che consiste nel giudizio differenziante. Si perviene alla convinzione che ogni giudizio sia pregiudizio. Se affermo che un individuo è bello, tutt’altro un secondo soggetto, formulerei un pregiudizio, esattamente: in nome di quale presunzione (appunto:pregiudizio) mi attribuisco il diritto di stabilire chi è bello e chi non lo è? Lo stesso varrebbe per le civiltà. In nome di quale presunzione (pregiudizio) stabilisco il criterio per il quale una civiltà è superiore ad un’altra?
Il concetto di uguaglianza deriva da tale argomentazione. Ossia: non sussisterebbero fondamenta per dichiarare che uno vale più di un altro. Se mai esisterebbero differenze non disuguaglianze. Un imbecille imbelle non è inferiore ad un capace attivo, è diversamente abile. Una società che si ispira all’impossibilità di apprezzare e disprezzare decade come civiltà in quanto non dà valore a chi vale. Ma come stabilire il valore di chi vale e perchè apprezzarlo? Il fondamento sta nel nostro arbitrio. Semplice. Se vi è il diritto di non valutare e stendere ogni soggettività sullo stesso piano (non esiste il bello o il brutto ma l’esistenza neutra, non esistono uomo o donna ma una entità indistinta), insomma: se per taluni non esiste soggettività diseguagliante, per altri, con il medesimo diritto, esiste soggettività diseguagliante tra bello e brutt, uomo e donna e tutto il resto, la realtà è assolutamente diseguagliativa. Il diritto di stabilire l’uguaglianza indifferenziata non ha miglior fondamento dello stabilire la disuguaglianza.Valgono entrambi sullo stesso piano?No!Ciascumo ritiene che il suo giudizio sia giustificato.
E’ arbitrario? Certo. E come non essere arbitrari? L’arbitrio è avvinto alla soggettività, finché sei un soggetto sei arbitrario, quando diventi un’entitù indifferenziata sei comunque arbitrario ma anche un niente. E siamo al punto. In un mio libro “L’Assoluto privato” , del 1977 scrivevo che per evitare di diventare un soggetto privo di soggettività preferibile valorizzare il “privato”, ma è ne “Il tramonto dell’alba e l’eclissi dell’io” che determino ampiamente la rovina che incombe: ritenere infondabile ogni giudizio di valore disuguagliante, per cui, ad esempio, preferire una bistecca di vitello ad una frittura di vermetti sciapi significherebbe discriminare; disprezzare un nullafacente perdigiorno e stimare un laborioso significherebbe oltraggiare; definire bella una donna e non bella anzi brutta un’altra donna sarebbe vilipendere, ma soprattutto questi giudizi sarebbero arbitrari, in nome di quale principio stabilire i criteri di valutazione?Ripeto, ecco il punto. Che è paradossale. Infatti: ed in nome di quali principi stabilire che non esistono criteri di valutazione se poi si attua una valutazione sostenendo che non sussistono principi di valutazione?
Al dunque, è arbitrario ogni critero valutativo, sia che affermi impossibile disuguagliare, sia che stabilisca fondato disuguagliare. Il termine “arbitrario” non vale dire “pensa come vuoi”. Significa: sei costretto ad essere mosso dalla tua soggettività, Finchè vi è soggettività vi è arbitrarietà. Se io non sopporto il sapore amaro ed il mio prossimo lo gusta ecco la soggettività arbitraria. Se io giudico bella una donna che al mio prossimo pare orribile, ecco la soggettività arbitraria. Attenzione, però. SIAMO IN UN RELATIVISMO ASSOLUTO. Significa? Che per me il mio giudizio secondo la soggettività arbitraria è la verità, ma ti lascio vivere con la tua arbitrarietà soggettiva perchè non mi impedisci di credere vera la mia arbitrarietà soggettiva. Se io sono ateo, tu cattolico, tu mussulmano, ciascuno crede vero ciò che la sua arbitraria soggettività gli suggerisce e crede falsa la mia convinzione atea, purchè non mi impedisca di viverla.
Questa concezione è indispensabile, e rispetta il tratto essenziale di quanto esiste, la diversità disuguagliante. Un solo criterio valutativo è contro natura. Niente esiste che sia uguale, la natura si attua mediante la soggettività arbitraria del mio io, disprezzare ed apprezzare, odiare ed amare, freguentare ed allontanare sono le maniere nelle quali la realtà svolge se stessa. Un individuo obbligato a mangiare ogni cibo, rispettare ogni individuo, non distinguere , non diseguagliare non è un soggetto individualizzabile è un passaggio di eventi. Certo, purchè non si compiano atti epurativi, dico:epurativi, ma si compiano atti selettivi. Se poi una società non intende compiere atti selettivi e una canzonetta vale una sonata di Schubert, per carità, sia, ma io spregio questo egualitarismo, almeno.
Tiriamo le somme. Come entità umana soggettiva ed arbitraria mi ritengo in diritto ed in dovere, sento di volere una società umanistica. Intendo per società umanistica la società che vuole elevarsi a civiltà, intendo per civiltà la società che abbonda in straordinari fermenti artistici, culturali, in accrescitivi rapporti umani, che disprezza la mediocrità con la sigaretta appesa al labbro, che disprezza il giudicatore egualitarista che taglia la testa a chi emerge, intendo per civiltà la società che ha riguardo per la forma non solo per la comunicazione, la società che sa ammirare… In nome di che? In nome della mia soggettività. Perché voi egualitaristi in nome di che parlate? Siete già diventati “oggettivi”? Vi siete universalizzati?Avete perduto la soggettività? Impossbile, come ho detto.
Bisogna prendere esempio dalla cultura classica. I greci, un Sofocle, un Aristotele reputavano il loro popolo superiore, ed Atene superiore ancora massimamente; i romani, un Virgilio, un Orazio stimavano la Città suprema mai raggiungibile da ogni esistente sotto il Sole. Erano dei relativisti assolutizzati. Vale a dire: io intendo elevarmi all’estremo, gli altri facciano, io mi ritengo superiore. Questo è il concetto di disuguaglianza: elevarsi ciascuno, popolo o singolo. Che dobbiamo fare: abbassarci per essere uguali al più basso? In nome di che? Per il timore che schiacci e disprezzi?Ma chi si eleva né schiaccia né disprezza. All’opposto , cerca sempre di superarsi, insoddisfatto di sé. Tempi incredibili nei quali chi tenta di valere deve giusticarsi, singoli o popoli che siano.
Attualizziamo quanto detto. Ritenere di suscitare odio, violenza, misfatti nel caso si dichiarasse di preferire l’unione uomo donna ad altre unioni; una società ad un’altra società; una religione ad un’altra religione; un cibo ad un altro cibo, significherebbe impedire il pensiero, la scelta, confondere la libertà con la violenza. Se esercito il mio tratto naturale e sociale:giudicare, scegliere, preferire io non danneggio né invito alla soppressione, scelgo e giudico , basta. Se dico che l’Italia è il più artistico Paese terrestre, io non invito a scansare, vilipendere; se dico che Enrico Caruso resta il più sonoro, possente tenore esistito io non invito a non far esibire altri tenori…Insomma, valorizzare ciò che per me vale non significa negare esistenza al restante ma solo preferire, scegliere, amare. O dobbiamo non preferire, non scegliere, non amare, condividere ogni realtà? Ed in nome di quale giudizio se viene impedito il mio giudizio?