Mottarone, Eitan è sveglio e chiede dei genitori. Tadini: sono pentito, voglio tornare a casa
E’ sveglio e ogni tanto chiede dei suoi genitori Eitan, il bimbo di 5 anni, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, da domenica 23 maggio ricoverato a Torino, all’Ospedale Regina Margherita dove ieri, per la prima volta, ha riaperto gli occhi.
Accanto a lui c’è la zia, che gli resta sempre vicina, e la nonna.
Le sue condizioni di salute, sono definite stabili dai sanitari, ma la prognosi resta riservata.
Il torace del bimbo, infatti, è ancora contuso e la situazione addominale non permette ancora di rialimentarlo. Per questa ragione il bimbo resterà in Rianimazione ancora qualche giorno prima di essere rimandato in reparto.
E’ stato il papà, deceduto insieme alla moglie e all’altro figlioletto, a fargli da scudo e a proteggerlo, consentendogli di restare vivo nella strage del Mottarone causata dalla rottura della fune trainante della funivia la cui cabina in salita, con a bordo 14 persone, poi tutte decedute, oltre ad Eitan, è, improvvisamente, tornata indietro a folle velocita, poiché i freni di emergenza erano stati disattivati, fino a impattare contro l’ultimo pilone, superato pochi attimi prima, e, quindi, è stata catapultata verso terra fermandosi, dopo una lunga scivolata sul pendio, contro un albero.
“Sono pentito”, fa sapere, attraverso il suo legale, Gabriele Tadini, il capo dell’impianto della funivia del Mottarone che da martedì sera è in carcere, in stato di fermo, dopo aver ammesso di aver consapevolmente posizionato i forchettoni, una sorta di divaricatore, sui freni di emergenza, disattivandoli volontariamente per impedire che l’impianto, si arrestasse, come accadeva da 50 giorni, a causa di un malfunzionamento ripetuto di cui il team di manutentori non riusciva a venire a capo.
Domani, nell’udienza di convalida davanti al gip, il suo legale, Marcello Perillo, chiederà per lui i domiciliari.
Secondo Perillo, Tadini “si è reso conto: ha la consapevolezza di avere vittime sulla coscienza e sta cercando di superarla con la fede“.
“C’era un problema da 50 giorni, un problema alle pompe che mettevano in funzione il freno e la sua paura è che la cabina si fermasse in mezzo e fosse necessario il recupero delle persone con il cestello“, spiega il difensore di Tadini.
Una scelta fatta per il timore o meglio “il rischio altissimo che la cabinovia si fermasse al centro. Faceva delle prove molto spesso con la cabina vuota, ci sono stati due interventi era un problema aperto, non risolto con due interventi. Ha corso un rischio ma l’ultima cosa che poteva immaginare è che si potesse rompere il cavo“, sostiene il legale. Che ora nominerà dei consulenti per capire perché la fune si è rotta, un evento che nonostante l’esperienza di quasi 40 anni in un impianto a fune “non si sa spiegare”.
Bisognerà capire dove si è rotta la fune, da quanto sembra la rottura è avvenuta quasi in cima ossia nel punto di massima tensione.
“Non dimentichiamo che si è rotta una fune e un aspetto tecnico importante è capire dove è avvenuta la rottura. Non credo che il forchettone potesse incidere sul cavo, così come bisogna capire i freni su quale fune erano, se portante o traente“, aggiunge Perillo.
L’avvocato sta già contattando diversi esperti ed è pronto a chiedere alla Procura di Verbania, che indaga sulla vicenda, di poter “eseguire un sopralluogo” sul luogo del disastro.
La scelta di lasciare il blocco ai freni era per “velocizzare” la ripartenza della funivia, ma se esistono altri motivi non è dato saperlo.
“Del fatto ho parlato 5 minuti con il mio assistito e non ho ancora letto il verbale reso al pm. Sono 38 anni che lavora in questi ambiente, è una persona perbene, preparata. Le motivazioni le chiederò a lui per scelta e saranno decisive per la scelta difensiva”, chiarisce l’avvocato.
Il legale del capo impianto del Mottarone è, comunque, pronto a replicare alle accuse.
“Con Tadini – dice uscendo dal carcere – abbiamo preparato bene l’interrogatorio davanti al gip in programma domani, l’intenzione è di mantenere la linea impostata” ossia confermare di aver messo il blocco ai freni.
“Le sue dichiarazioni sono comprensibili e genuine, ma contesterò il fermo perché non ci sussistono i requisiti per convalidarlo e chiederò i domiciliari“, conclude l’avvocato.
Secondo la Procura, invece, i tre fermati accusati della strage del Mottarone devono restare in carcere perché sono pericolosi: potrebbero inquinare le prove, potrebbero ripetere quanto fatto e visto il clamore mediatico sulla vicenda potrebbero fuggire.
Dice il legale che è andato a trovare in carcere, Tadini: “E una persona che si è rifugiata nella fede, non è una cosa strumentale ma lo è sempre stato, ne sentiva il bisogno. Mi ha detto “sono nelle mani di Dio per tutto“, una frase che racchiude tutto”,