Per la destra la rottamazione è un falso mito. Le parole di Giorgia Meloni lo confermano

31 Mag 2021 17:50 - di Lando Chiarini
Meloni

Nessuna recensione (almeno ci sembra) tra le tante seguite all’uscita di Io sono Giorgia – Le mie radici, le mie idee (Rizzoli editore – 18 €), ha colto nel libro della Meloni un aspetto che pure avrebbe meritato uno specifico approfondimento. Questo: per quanto giovane e per quanto anche lei contaminata dalla tendenza nuovista tipica della sua generazione, la leader della destra si mostra del tutto refrattaria al falso mito della rottamazione. Non vi si inchina, pur a dispetto della sua evidente convenienza a farlo. Compie anzi l’operazione opposta, caricandosi sulle spalle anche quel che anagraficamente non le apparterrebbe. Sembra poco, ma è tantissimo nell’Italia dell'”io-non-c’ero-e-se-c’ero-non-è-colpa-mia“. Scrive, infatti, a pagina 162: «La storia di cui parlo non è solo quella di Fratelli d’Italia, è molto più antica, ed è la storia di molte più persone».

La Meloni: «Siamo staffette tra passato e futuro»

Curioso, no? Di certo è che non tutti – dopo aver raccolto una bandiera nella polvere e averla issata sui pennoni più alti – sarebbero capaci di analogo senso comune e, diciamolo pure, di altrettanta umiltà. E tuttavia sbaglierebbe chi pensasse di decifrare queste parole come semplice proiezione di un carattere. Non ce ne occuperemmo. È molto di più, è l’indizio dell’imprinting di una cultura politica, quella della destra, che fa della saldatura tra le generazioni un punto di forza e non di debolezza. Scrive, infatti, ancora la Meloni: «Anche per questo abbiamo fondato il nostro partito. Sappiamo di essere staffette di una corsa lunghissima, e corriamo nella speranza che ci saranno altri a raccogliere il testimone quando noi dovremo fermarci».

Nessuna concessione al nuovismo

Una consapevolezza, questa, che l’assale nel momento in cui sta per varcare la soglia del suo ufficio di Via della Scrofa, «lo stesso – ricorda – che una volta era di Gianfranco Fini e, prima di lui, di Pino Rauti e Giorgio Almirante». Leader antichi e recenti, diversi tra loro quando non su posizioni a dir poco dialettiche all’interno dello stesso partito. Quante e quali passioni suscitate nei congressi: vittorie, sconfitte, errori, scissioni. Ma anche un lungo martirologio dei tanti, spesso giovanissimi, che hanno pagato con la vita la propria militanza. Il messaggio che arriva da queste pagine è insieme semplice e – riferito allo spirito del tempo – addirittura rivoluzionario: in politica, come nella vita, nasciamo eredi. Di storia, cultura, valori e orientamenti. Vale per la fazione come per la nazione.

Chi riannoda e non lacera ha cultura di governo

A destra è normale. Persino nelle fase più acute della competizione interna, qui il conflitto non si è mai dispiegato lungo traiettorie generazionali ma sempre sulla base di quelle contenutistiche e programmatiche. Alle sue latitudini, la stella di Matteo Renzi non avrebbe mai brillato. Almeno non per la rottamazione, intesa come “via il vecchio” a “avanti il nuovo“. Soprattutto quando il nuovo che avanza è spesso solo l’avanzo del vecchio. Vale anche per i 5Stelle, i cui propositi palingenetici sono rimasti tali a dispetto di mille impegni e altrettanti proclami. Sotto questo specifico aspetto, è perciò innegabile che la Meloni evidenzi un tratto di marcata originalità rispetto ad altre leadership della sua stessa generazione. È un dato che molti trascurano, ma in cui non è difficile scorgere, almeno nell’approccio, uno scarto apprezzabile rispetto alle desolanti performances dell’era pre-Draghi. Chi riannoda e non lacera, mostra cultura di governo. E non è poco coi tempi che corrono.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *