“Politically correct”, meno male che esiste da poco: ci avrebbe negato pure Totò e Celentano
È una vera fortuna che la “diversamente censura” del politically correct sia un fenomeno relativamente recente. Pensate un po’ quante cose ci saremmo persi se il suo rogo ardesse già da tempo. Quanti film non avremmo visto e quante canzoni non avremmo ascoltato. Ci pensi bene, perciò, Adriano Celentano prima di buttarsi a corpo morto addosso a Fedez mentre il rapper digrignava tutti i suoi denti (ma quanti ne ha?) contro una presunta sforbiciata Rai alla sua invettiva anti-Salvini dal Concertone del 1° maggio. Ci pensi bene e poi ci dica se oggi sarebbe libero di cantare «e uno schiaffo all’improvviso le mollai sul suo bel viso rimandandola da te» senza passare per potenziale femminicida.
La nuova censura colpisce ora per allora
E già che c’è, consigli prudenza ad un progressista doc come Roberto Vecchione, cui oggi non perdonerebbero versi («e una negra grande come un ospedale da aspettare») come questi cantati in Arthur Rimbaud. Un testo del 1984, ma che sembra la fotocopia di «Siamo i Watussi» del 1963 con i suoi «altissimi negri». A conferma che in oltre vent’anni di musica leggera e impegnata nessuno aveva dato importanza a quel «punto G» che oggi scatena l’eccitazione del politically correct ogni qualvolta diciamo “negro” anziché “nero”. E ve lo immaginate il duo Mogol-Battisti sommerso da dislike e insulti social per «donna tu sei mia, mia e quando dico mia dico che non vai più viva»? Oggi sarebbe roba da Anonima sequestri.
Anche la Mannoia sarebbe vittima del politically correct
Ma ora tenetevi forti sapendo che al rogo della nuova inquisizione non sfuggirebbe neanche la compagna Fiorella Mannoia. E mica per quisquilie e pinzillacchere. Tutt’altro. Già, cos’altro è il suo «e dalle macchine, per noi, i complimenti del playboy noi non li sentiamo più se c’è chi non ce li fa più» se non nostalgia canaglia di un tempo in cui il maschio poteva impunemente tentare di abbordare una donna? Resta invece sub judice il «Non ho l’età» della prodiana Gigliola Cinquetti. Quando la cantò (1964), era minorenne. Ma a complicare la sua posizione potrebbe ora l’intervento abbassamento a 18 anni della maggiore età.
Un pretesto la lotta a odio e discriminazione
Già, perché come il «treno dei desideri» di Celentano, la censura politically correct «all’incontrario va». Il rischio che colpisca retroattivamente ora per allora c’è, eccome. E nulla impedirebbe allo Zan di turno di scorgere in quel testo apparentemente poetico e innocente l’indizio di un apartheid sentimentale per sole ragazze. A quel punto, delle due l’una: o rogo o versione maschile del testo interpretato da Peppino di Capri. E fermiamoci qui e risparmiamoci lo spezzatino cui gli odierni iconoclasti ridurrebbero, ad esempio, i film di Totò così ricchi di battute ardite. Dipendesse solo dai nuovi moralisti, trasformerebbero volentieri il Principe della risata nell’abominevole Re del politicamente scorretto. Pronti – in nome della lotta all’odio e alla discriminazione – a confinarlo nel più triste e malinconico degli esili.