Prato, due cinesi prendevano a cinghiate gli operai africani: arrestati per sfruttamento del lavoro nero
Due cittadini cinesi arrestati per sfruttamento lavorativo ed evasione fiscale; denunciati per concorso nel reato due amministratori di un’azienda committente del fiorentino e sequestrati beni per ingenti importi: è il bilancio di un’operazione del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Prato nel settore del contrasto al sommerso di lavoro. Le indagini, coordinate dalla Procura di Prato, sono scaturite dalla denuncia presentata alle Fiamme Gialle, tramite la Camera del lavoro della Cgil, da tre uomini africani che lamentavano le condizioni di degrado e di sfruttamento in cui erano costretti quali operai di una pelletteria di Poggio a Caiano.
A Prato lo sfruttamento della comunità cinese
Benché intestata ad una prestanome, la ditta è risultata di fatto gestita da una coppia di coniugi cinesi, inquadrati quali dipendenti, che avevano operato precedentemente, in una sorta di continuità aziendale, attraverso altre imprese dislocate nel medesimo immobile, una subentrata all’altra con nuova denominazione e partita Iva, al fine di sottrarsi ai controlli delle Istituzioni ed ai debiti maturati con l’erario.
Dalle indagini sono emersi – in danno di almeno 18 extracomunitari occupati in tempi diversi, in prevalenza di nazionalità cinese – “evidenti indici di sfruttamento lavorativo, quali turni massacranti fino a 12 ore, con punte di 15, per 6 giorni settimanali, a fronte di stipendi mensili di circa 800 euro corrisposti in modo irregolare, nessuna garanzia in termini di tutele sindacali ed in tema di malattia, riposi settimanali, tredicesima e ferie”.
Gli strumenti di lavoro non a norma
E’ stato rilevato l’utilizzo di macchinari non conformi alla normativa sulla sicurezza e pericolosi per l’incolumità fisica dei lavoratori. Parte dei lavoratori era inoltre alloggiata in dormitori funzionali al sito di produzione, caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie carenti e da sovraffollamento.
Oltre a ciò, erano inflitte anche punizioni corporali: in almeno tre circostanze la donna titolare di fatto dell’impresa avrebbe percosso con schiaffi e cinghiate sulle mani uno dei lavoranti africani, responsabile – a suo dire – della non perfetta esecuzione delle mansioni affidategli.
Tuttavia l’indagine si connota per un ulteriore e significativo aspetto, sottolinea la Gdf in un comunicato: sono stati infatti denunciati anche due imprenditori italiani, amministratori della società, con sede nella provincia di Firenze, che – per far fronte a contratti di fornitura stipulati con una nota griffe della moda straniera – subcommissionava alla pelletteria di Poggio a Caiano la realizzazione di borse ed accessori, così utilizzando la manodopera sfruttata. Sulla base delle attuali risultanze investigative si è potuto ipotizzare che gli amministratori dell’azienda italiana fossero infatti consapevoli – alla pari dei gestori di fatto e di diritto della ditta a conduzione cinese – dello sfruttamento cui i lavoratori venivano sottoposti.