Rula Jebreal fa l’eroina: «Ho il dovere morale di liberare chi è discriminato. E in Italia…»

24 Mag 2021 9:59 - di Redazione

Le donne prima di tutto. Meglio se progressiste. Perché sul fronte avversario è un manipolo di razzisti e sessisti. Rula Jebreal torna all’attacco. Con il solito copione. Sotto i riflettori per il no al Propaganda live, torna a spiegare il gran rifiuto. E a pontificare. “Quando ho visto sette invitati e una donna, ho detto che lo consideravo inaccettabile. Ho voluto mandare un messaggio forte. Non solo a Propaganda Live, ma a tutti i programmi tv”. Insomma la pasionaria del femminismo sul piccolo schermo, invoca le quote rosa.

Jebreal: le donne sono invitate in tv perché sono belle

È un problema inquietante. Che viene normalizzato e ignorato“, dice la giornalista palestinese alla Stampa. Secondo cui le donne sono invitate in tv anche per bella presenza. “Lo capisci quando fanno interventi da 30 secondi. E poi restano ad ascoltare una trasmissione di due ore in cui parlano solo uomini”.

L’immagine di una società patriarcale è ovunque

La Jebreal è ossessionata dalle discriminazioni televisive. “L’immagine di una società patriarcale è tappezzata ovunque. Sento parlare delle donne come minoranza da difendere: no, sono la metà”. E spara a zero contro Zoro, che non esattamente un pericoloso suprematista. E che infatti le risponde facendole notare che ha sbagliato i conti. Poi fa una certa fatica a salvare il Pd. Ma ci prova gettando la croce sugli avversari.

A sinistra ci confrontiamo, gli altri devono tacere

“Il mondo non progressista dovrebbe tacere. Perché almeno noi parliamo dei temi, ci confrontiamo. Dall’altra parte ci sono solo attacchi sessisti, misogini e razzisti. Si va dalla violenza verbale al silenzio tombale”. Poi il solito refrain sulle donne ‘schiave’. E l’appello alle ‘armi’. “Se l’uomo non vuole rinunciare al privilegio, mi dà una pacca sulla spalla e dice ‘brava, continua a lottare’. Ma le regole si possono cambiare solo insieme. E finché non saremo tutti liberi, nessuno lo sarà davvero”.

Non ho bisogno di pubblicità

Ma guai a dirle che cerca pubblicità come paladina del femminismo del terzo millennio. Un’accusa che viene proprio dalle donne.  “Mi hanno ricordato momenti del movimento #MeToo. Quando donne che hanno denunciato stupri in Italia sono state accusate di farsi pubblicità. Chi non vuole ascoltare dice che è pubblicità, ma io non ne ho bisogno”, risponde sprezzante. “Che pubblicità è quella? Non mi avrebbe fatto più comodo andare in tv a promuovere il mio libro?. Ho preso posizione, sapendo che avrei scatenato l’ira del programma, per agitare le acque e far riflettere. Magari adesso ci sono colleghi che ci pensano. Tante donne hanno interiorizzato l’anomalia e credono sia la normalità. Ma molte madri, mogli, figlie, sorelle stanno riflettendo: così comincia il cambiamento”.

Il sì alla legge Zan, serve anche la coercizione

Dalla legge Zan, inutile dirlo.  “Io non combatto solo per l’inclusione delle donne. Ma anche di gay, lesbiche, immigrati, musulmani, ebrei”. La giornalista palestinese si sente investita della missione salvifica. Parla di un obbligo morale. Insomma un imperativo categorico modello Kant. “Ho l’obbligo morale di liberare chiunque sia discriminato. In Italia c’è una trasversalità della discriminazione che va raccontata. Nessuno rinuncerà al privilegio senza qualche meccanismo di coercizione, perciò servono nuove leggi”. Coercizione. Un termine poco felice. Forse gli è scappato nella foga da militantessa dei diritti delle donne.

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