Tv e politica, 20 anni fa lo show di Benigni da Biagi: «Non mi piace Silvio, mi piace Rutelli»

11 Mag 2021 19:56 - di Francesca De Ambra
Benigni

C’è l’acronimo BB, ma non c’entra la grande Brigitte Bardot, cui bastavano giusto le iniziali per farsi spazio tra le dive del cinema anni ’60. C’entrano, piuttosto, Biagi (Enzo) e Benigni (Roberto), protagonisti esattamente vent’anni fa della più clamorosa violazione della par condicio tv travestita da satira. Correva l’anno 2001 e il 13 maggio si votava per rinnovare il Parlamento. Centrodestra (Lega compresa) compatto dietro Berlusconi, centrosinistra in assetto variabile dopo una legislatura in cui aveva sperimentato tre premier (Prodi, D’Alema, Amato) per poi affidarsi a Francesco Rutelli. Una stagione con pochi trofei per l’Ulivo. Tra questi, la legge sulla par condicio in tv, cioè spazio uguale per tutti nell’ultimo mese di campagna elettorale: 30 o 0,3 per cento pari sono.

Così Benigni a poche ore dal silenzio elettorale

Alla base della nuova normativa, l’errato convincimento che a far vincere Berlusconi nel ’94 fossero stati gli spot sulle sue reti. Da prezioso elettrodomestico qual era stato nel corso della Prima Repubblica, agli albori della Seconda, la tv si trasforma nel fronte politico più infuocato. Non stupisce, perciò, l’omerico frastuono suscitato dall’intemerata anti-Cavaliere di Benigni mentre è ospite del Fatto (striscia informativa pre-Tg1) di Biagi. Al voto mancavano tre giorni. Significa una manciata di ore allo scoccare del silenzio elettorale. Nessuno poteva immaginare che il servizio pubblico avesse in serbo quel micidiale colpo di coda. Men che meno che a sferrarlo fosse Biagi nell’inusitato ruolo di spalla nello show di Benigni. Ma è proprio quel che accadde.

Mai la par condicio tv subì più grave violazione

«Silvio non mi piace, Rutelli sì», concluse il comico dopo aver a lungo gigioneggiato contro il Cavaliere. La scenetta, tuttavia, risultò alquanto disgustosa. «Una porcata», la definì infatti l’allora presidente della Vigilanza Rai, Mario Landolfi. Ma voci critiche si alzarono in tutto il centrodestra e anche all’interno del CdA di Viale Mazzini. Indignava, soprattutto, che ad avvantaggiarsi della violazione della legge fosse proprio la parte politica che l’aveva così ostinatamente voluta. Comunque sia, non le servì. A vincere fu infatti Berlusconi. A conferma che allora non erano stati i suoi spot a convincere gli elettori. Come non lo sono oggi i tweet di Salvini o i post di Giorgia Meloni. A vent’anni da allora c’è solo da sperare che lo abbia capito anche la sinistra.

 

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